Ci sono livelli di dolore, disperazione e rassegnazione che ti trovi davanti come muro invalicabile. Tocchi con mano che le tue parole non possono fare breccia in questo muro. Che fare? Arrendersi? Un senso di impotenza ti avvolge. L’istinto è alzare le mani in segno di resa. Tutto è troppo grande per il mio limite umano. Allo stesso tempo percepisco che chi hai davanti si aspetta da te un segno. Non la soluzione al suo problema. Anche l’altro sa dei tuoi limiti. Ma da te si aspetta comunque una parola di speranza. Una parola ad aprire l’orizzonte che davanti sembra inesorabilmente chiuso. La fede? Non c’è! O, se c’era, si è smarrita nel buio dello sconforto o del dolore di chi per una ragione o per l’altra si sente tradito o abbandonato. “Quale futuro?”, mi ribatte un giovane a cui suggerisco di programmare un percorso di vita con la sua fidanzata. “Ho visto mio padre portato in ospedale; me lo hanno riconsegnato in un’urna cineraria”. Mi confida una signora che causa Covid ha perso in poco tempo entrambi i genitori. Di fronte a tanto dolore e sfiducia, ancor più inutili le parole. Anche le luminarie che esaltano il clima di festa, ora sembrano meno luminose. Come la neve con la sua coltre bianca copre ogni cosa, così il Coronavirus sembra addormentare i cuori con la sua coltre di paura e dolore.Si perde la speranza. Senza speranza si spegne la capacità di sognare. Si vive il presente come meglio si può ma si teme il futuro.
Leggi tutto l’articolo di Pierangelo Roncalli su La Libertà del 23 dicembre 2020