Fondazione Migrantes: rapporto Asilo

Sempre più persone in fuga, sempre meno quelle accolte in Europa e in Italia – Una domanda globale di protezione in crescita per guerre, crisi, violazioni dei diritti, disuguaglianze economiche, mancato accesso al cibo o all’acqua, land grabbing, desertificazione, disastri ambientali e attacchi terroristici trova sempre meno risposte nell’Unione Europea e in Italia.
Sbarchi e porti chiusi, tra Covid-19 e la pavida solidarietà dell’UE – La situazione dei migranti che giungono in Europa via mare attraverso il Mediterraneo centrale e le risposte di alcuni governi dell’UE nel 2020 hanno messo in evidenza come la pandemia di Covid-19, una dura prova per tanti Paesi, abbia fornito allo stesso tempo anche i pretesti per una serie di misure “difensive”.
“Exodus”, in ascolto della Libia – Attraverso la geo-localizzazione, il progetto “Exodus-Fuga dalla Libia” si mette in contatto con chi si collega a Internet dal suolo libico. Sono centinaia i messaggi vocali ricevuti via WhatsApp a partire dall’estate del 2018. In un anno, solo uno su 140 tra i migranti in Libia raggiunge l’Europa via mare, e solo due su 140 sono respinti. Gli altri 137 al mare nemmeno arrivano. Nei centri di detenzione “governativi” sono trattenuti altri due migranti su 140. Tutti gli altri sono in balia di un’impunità diffusa che li assoggetta a lavoro forzato non retribuito.

La pandemia di Covid-19 ha messo a dura prova persino i sistemi sanitari dei Paesi più avanzati. Ma fra i Paesi che ospitano più rifugiati e/o sfollati e/o venezuelani dispersi all’estero, sono soltanto due quelli che, già in una situazione “normale”, dispongono di posti letto ospedalieri sopra lo “standard umanitario” di 18 posti ogni 10.000 abitanti: la Germania (80 posti letto) e la Turchia (28,5). Tutti gli altri, Colombia, Pakistan, Uganda, Siria, Repubblica Democratica del Congo, Yemen e Somalia si trovano al di sotto. Anche nel “gigante” Nigeria (con 2.200.000 sfollati interni) i posti letto/10.000 abitanti sono appena cinque.

Il rapporto fra popolazione in situazione di sradicamento forzato (79,5 milioni di persone fra rifugiati all’estero, sfollati interni e richiedenti asilo oltre a 3,6 milioni di venezuelani dispersi all’estero senza status) e popolazione globale a fine 2019 è pari a un abitante del mondo su 100. Nel 2010 si trattava “solo” di 1 su 159. L’85% dei rifugiati e dei venezuelani dispersi all’estero si trovano nei Paesi “in via di sviluppo”.
Sono 107.800 i rifugiati reinsediati in 26 Stati del mondo da precari Paesi di primo asilo nel 2019, con o senza l’assistenza dell’UNHCR (l’agenzia ONU per i rifugiati). L’UNHCR però stima che i rifugiati che ne avevano bisogno e diritto nell’anno fossero 1.428.000 (e oggi 1.440.000).
Focus sfollati interni, fra conflitti e violenze, disastri e climate change

50,8 milioni. È il totale delle persone nella condizione di sfollati interni nel mondo a fine 2019: 45,7 milioni per conflitti o violenze (il peggior dato di sempre) e 5,1 per disastri ambientali (è la prima volta che questa stima è disponibile).
8,5 milioni I nuovi sfollati prodotti nel solo 2019 da conflitti e violenze.
24,9 milioni I nuovi sfollati prodotti nel solo 2019 da disastri ambientali.

23,9 milioni I nuovi sfollati prodotti nel ‘19 da disastri ambientali legati a eventi meteorologici. È l’indicatore più affidabile per stimare almeno parzialmente il fenomeno dei “migranti ambientali” da cambiamento climatico.

Sono circa 72.500, secondo dati provvisori, gli attraversamenti “irregolari” di migranti e rifugiati registrati alle frontiere esterne dell’Unione Europea fra gennaio e settembre 2020: – 21% rispetto allo stesso periodo 2019. Fra le “rotte” d’ingresso principali sono in aumento solo quella del Mediterraneo centrale e quella dei Balcani occidentali, sia pure con cifre incomparabilmente inferiori rispetto al 2015 dell’“emergenza migranti” europea. Negli ultimi mesi, tuttavia, nell’Atlantico si sono moltiplicati gli arrivi alle Canarie, territorio spagnolo. Sempre fra gennaio e settembre, le rotte migratorie mediterranee e interne all’Europa hanno contato almeno 672 morti/dispersi in mare e 76 in percorsi via terra.
Nel 2020, sulle richieste d’asilo nell’Unione Europea (196.620 mila quelle presentate per la prima volta fra gennaio e giugno, – 31% rispetto allo stesso periodo 2019) hanno pesato le restrizioni e i lockdown per la pandemia di Covid-19 in primavera.
Nel 2019 l’UE a 27 Paesi ha registrato 612.685 richiedenti asilo per la prima volta (+ 12% rispetto al 2018). Per numero assoluto l’Italia è quinta dopo Germania, Francia, Spagna e Grecia. Ma se si guarda ai richiedenti per milione di abitanti, con 580 per milione siamo sotto la media europea di 1.371 per milione.
Nel 2019 l’UE ha garantito protezione a 295.785 persone (status di rifugiato, protezione sussidiaria o umanitaria). Ma le percentuali di riconoscimento di uno dei 3 benefici sul totale dei richiedenti esaminati sono rimaste molto basse: il 38% in sede di “prima istanza” e il 31% in “istanza finale”. Il tasso di riconoscimento italiano in prima istanza, 20%, è sotto la media europea.

 

Ancora una volta, nonostante martellanti dichiarazioni politiche circa il “ritorno” di un’ondata di sbarchi “indiscriminati”, il 2020 è avviato a concludersi con un totale di arrivi in Italia di migranti e rifugiati via mare certamente in crescita rispetto al biennio 2018-2019 dei “porti chiusi” e della “guerra alle ONG”, ma comunque a livelli minimi rispetto agli anni precedenti: 23.720 gli arrivi nel nostro Paese a fine settembre 2020, contro i 132.043 nello stesso periodo del 2016 e i 105.417 del 2017.
La rotta del Mediterraneo centrale, cioè quella verso l’Italia e Malta (25.888 gli arrivi da gennaio a settembre 2020), continua ad essere la più pericolosa. Anche nel 2020, nelle acque del solo Mediterraneo centrale si è registrato il 70% di tutti i morti e dispersi stimabili per difetto nel “Mare nostrum”.
I richiedenti asilo in Italia nel 2020 sono ai minimi degli ultimi anni, anche per il lockdown per la “prima ondata” di Covid-19, che ha paralizzato per mesi anche le procedure d’asilo: al 30 settembre sono stati registrati circa 16.855 richiedenti (dato provvisorio), due terzi rispetto allo stesso periodo 2019.
Fra i 10 Paesi d’origine con il maggior numero di richiedenti asilo in Italia nel 2020, 4 hanno un “indice di pace” molto basso (3 casi) o basso (1 caso): sono cioè fra i Paesi più insicuri al mondo per guerre e conflitti esterni o interni, militarizzazione, criminalità e violenze. Si tratta di Pakistan, Nigeria, Venezuela e Somalia.
Fra gli esiti delle richieste d’asilo in Commissione territoriale, nel 2020 hanno fatto il loro “esordio” i numeri della protezione speciale introdotta dal primo “decreto sicurezza” (che ha abolito la protezione umanitaria). Numeri molto bassi: nel 2019 la protezione speciale è stata riconosciuta a 616 richiedenti, meno dell’1% di tutti quelli esaminati. E praticamente lo stesso è avvenuto nel 2020, con 204 concessioni (periodo gennaio-agosto).
Nei primi otto mesi del 2020 sono stati riconosciuti in Italia circa 5.900 benefici fra status di rifugiato, protezione sussidiaria e protezione speciale: ha ottenuto uno dei tre riconoscimenti appena un richiedente asilo su 5.

(Dis)fare l’accoglienza: luoghi e protagonisti alla prova dei “decreti sicurezza” – Che cosa hanno significato i “decreti sicurezza” per il sistema di accoglienza italiano? Risponde una ricerca attraverso l’Italia delle città di medie dimensioni e dei piccoli centri.
I richiedenti asilo fra domanda di protezione e regolarizzazione – La procedura di regolarizzazione che si è svolta in questo 2020 non era preclusa ai richiedenti asilo, ai quali però è stato chiesto di rinunciare alla propria domanda di protezione e alle misure di accoglienza e integrazione ad hoc.
L’accoglienza ai tempi del Covid-19 – Malgrado tutte le difficoltà, il numero di casi positivi di coronavirus riscontrati nei centri d’accoglienza è stato basso. Focolai significativi sono scoppiati soprattutto in grandi CAS o in strutture per senza dimora, a conferma della necessità di riformare il sistema d’accoglienza a favore dell’accoglienza diffusa.
Rifugiati-cittadini? Partecipazione e responsabilità durante il Covid-19. E oltre – Tra i rifugiati in Italia le forme di partecipazione attiva, volontariato e attivismo sono molto diffuse, ma anche ben diverse dal “volontariato coatto” a cui, negli ultimi anni, sono stati sottoposti molti richiedenti asilo perché “dimostrassero” un buon comportamento e gratitudine.

A fine settembre 2020 il totale di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nei servizi di accoglienza italiani, circa 82.100 persone, ha toccato il minimo dell’ultimo periodo: per trovare un valore più basso occorre risalire al 2014, subito prima della grande “emergenza migranti” europea del 2015. Rispetto al valore massimo di fine 2017 (quasi 184.000 persone), oggi l’accoglienza si è più che dimezzata.
Fra i “luoghi di accoglienza” nel 2020 si potrebbero anche inserire le discusse navi quarantena anti-Covid-19 per i migranti. Verso la fine di settembre erano già cinque, con oltre 2.200 migranti a bordo.

La rotta dei Balcani: un sistema di violenza nel cuore dell’Europa – Tutti i Paesi dell’area scoraggiano, di fatto, ogni forma di insediamento dei rifugiati. Nella regione si sono diffuse massicce prassi di respingimento dai Paesi UE verso quelli non UE, attuate in modo violento e ricorrendo a procedure interamente extra legem. In particolare, la “catena” delle cosiddette “riammissioni” che coinvolge da tempo Slovenia e Croazia ha l’obiettivo di impedire ai richiedenti asilo l’accesso al territorio dell’UE. A questa “catena”, purtroppo si è aggiunta dalla primavera 2020 anche l’Italia.
La rotta balcanica nello snodo della Bosnia – Il “gioco”, “the game”, come viene chiamato l’attraversamento del confine tra Bosnia e Croazia, è l’obiettivo dei migranti che attraversano la Bosnia. Le situazioni di maggiore difficoltà si vivono al confine, nelle città di Bihać e Velika Kladuša.
Diritto alla protezione: naufragio al confine fra UE e Turchia? – Nel Report 2020, un saggio fa il punto sull’“esternalizzazione” del controllo della frontiera greco-turca avviata nel 2016 con la firma dell’Accordo UE-Turchia.

Sulla “rotta” del Mediterraneo orientale si registrano quest’anno due dati preoccupanti: le vittime in mare, che a fine settembre hanno già superato quelle registrate in tutto il 2019: 91 fra morti e dispersi contro 71; e i respingimenti illegali in mare attuati dalle forze dell’ordine greche: circa 1.100 i casi denunciati in un’ampia inchiesta indipendente, mentre il fenomeno trova conferme anche da altre fonti.
La Grecia, Paese a cui l’UE dal 2016 ha assegnato il ruolo di “contenitore” di migranti, è stata nel 2019 uno degli Stati membri con la maggiore incidenza di richiedenti asilo rispetto agli abitanti (6.985 per milione), trovandosi nel 2019 in 3a posizione assoluta.
Gli attraversamenti delle frontiere esterne dell’UE dai Paesi dei “Balcani occidentali” nel 2020 sono in aumento rispetto al 2019: 13.345 gli arrivi nei primi otto mesi dell’anno. Ma il dato rimane comunque molto inferiore a quelli registrati nel 2015, l’anno della grande “emergenza migranti”, e nel 2016.

La “destinazione universale dei beni” per un approccio integrale alle migrazioni
La Chiesa insegna da sempre che il mondo, con le sue straordinarie risorse, appartiene a tutti, perché nell’intenzione originaria del Creatore è destinato a ogni essere umano. Di conseguenza – afferma l’ultimo contributo del Report 2020 – non è coerente con il disegno di Dio impedire l’accesso ai beni essenziali alla propria sopravvivenza a chi emigra dal proprio Paese in cerca di migliori condizioni di vita.

Roma, 3 dicembre 2020

 

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