Il matrimonio è in crisi? La crisi, se c’è, è irreversibile? Indubbiamente molti matrimoni finiscono col divorzio o la separazione e spesso lasciano dietro di sé uno strascico doloroso – questo induce a pensare a una crisi della istituzione. In effetti molti fidanzati rinunciano al rito religioso (al quale è legata l’idea della indissolubilità); altri preferiscono una convivenza che ha le caratteristiche del matrimonio, ma non è ufficializzata a tutti gli effetti. Forse l’essere umano non è più all’altezza di un’idea così grande, di una scommessa così audace, di una promessa che lega la sua vita e quella di un’altra persona. Proliferano fra l’altro alcune “proposte alternative” come “matrimoni a scadenza”, “monogamia flessibile” eccetera. Non ce ne occuperemo. Le note che seguono sono rigidamente sociologiche e mirano a comprendere l’incidenza del fenomeno.
La famiglia nucleare
La famiglia nucleare (o coniugale o piccola famiglia), almeno come fenomeno di rilevanza sociale, come fenomeno di massa, nasce con la rivoluzione industriale e con l’urbanizzazione, cioè con il passaggio da una “condizione contadina” a una “condizione operaia”.
La famiglia patriarcale (o consanguinea o grande famiglia), che la ha storicamente preceduta, è una comunità a più strati generazionali (genitori, figli, nipoti), tenuti assieme dalle attività di produzione e dalla mutua dipendenza economica (oltre che, naturalmente, dai rapporti affettivi e di sangue). Essa è caratterizzata, oltre che dalla vasta “costellazione” dei suoi membri, anche da una struttura verticistica e da un’atmosfera decisamente autoritaria (cioè riconosce il suo capo nell’uomo più anziano e impone la subordinazione del più giovane al più vecchio e della donna all’uomo).
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