Fin dai primi giorni del mio arrivo in Madagascar, più di 25 anni fa, ho sentito parlare di padre Pietro Ganapini. I primi che mi parlarono di lui come di un sacerdote pio e generoso, missionario dal cuore buono e caritatevole verso i poveri, furono i miei confratelli di congregazione che erano in relazione con lui fin dai tempi in cui padre Pietro era parroco di Andohatapenaka e successivamente di Ilanivato e Ankazotoho, tutte parrocchie di gente povera alla periferia della capitale, vicine alla nostra parrocchia di Anatihazo.
Ricordo la prima volta che l’ho incontrato. Siccome la parrocchia di Ambanidia, dove padre Ganapini era parroco, non era molto lontano dall’università di Ambatoroka, dove i nostri giovani seminaristi frequentavano i corsi di filosofia, un giorno mi è venuto il desiderio di incontrarlo e di conoscerlo. Appena arrivato nel cortile della parrocchia lo riconobbi subito circondato da tanti poveri che accorrevano a lui. Quello che mi ha colpito immediatamente fu il suo sorriso aperto e cordiale, l’affabilità con cui stava in mezzo a quella gente: uomini, donne, bambini poveri.
Parlava con loro, ascoltava le loro pene, li incoraggiava alla vita cristiana, alla fiducia in Dio, ma non mancava di aiutare anche materialmente chi era in grave necessità.
Continua a leggere l’articolo di Tarcisio Piotto su La Libertà del 27 luglio 2020