La mostra della scienza nell’epoca del Covid-19

Della abbuffata di notizie che hanno travolto il largo pubblico rendendolo ansioso e dipendente oltre ogni sua capacità di gestione, qui me ne interesso poco. L’ho già fatto altrove. Neppure delle conseguenze che l’epidemia sta provocando sul piano fisico, psicologico, relazionale e spirituale; temi che ho già trattato in altri scritti. Mi interessa riflettere sul senso della scienza così come si è appalesata in queste settimane. Sul suo modo di essere e sul suo significato. Mi sono deciso a questa riflessione scosso dalla determinata richiesta, imperiosa nei modi, di un politico importante che per difendersi dalle critiche soventi e soverchianti e per nascondersi dietro a qualcuno per potere svicolare dalle responsabilità che gli deriverebbero dal ruolo, ha tuonato: la scienza deve dirci cosa fare! Si riferiva a cosa fare in questa epoca di incertezza che è la pandemia.

Non solo larga parte del panorama che ci circonda, la natura vicina e quella remota, ma anche addirittura il panorama che ci compone, come esseri viventi, ci è ignoto. Per dare solo qualche esempio, cito uno studio del 2016 (Kenneth J. Locey and Jay T. Lennon, Scaling laws predict global microbial diversity, PNAS May 24, 2016 113 (21) 5970-5975; first published May 2, 2016) che stimava in mille miliardi le differenti specie di microbi probabilmente presenti sulla terra, senza contare i virus. Di esse ne sono state identificate poco meno di 10 milioni, cioè lo 0,001%. Il numero totale degli individui viventi sulla terra è stimato in un quintilione, cioè un milione di milioni di milioni di miliardi!

Continua a leggere tutto il saggio di Umberto Nizzoli su La Libertà del 27 maggio 2020

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