Chiesa che vive del suo popolo

In questo tempo drammatico mi sono chiesto: ma come mi muovo di fronte alle circostanze che, in ogni caso, interpellano sul senso della mia vita? Di fronte a situazioni di prova e di pericolo questo interrogativo è diventato decisivo sul piano personale, come a livello comunitario.
Il “digiuno eucaristico” mi ha fatto capire che il Cristo vivo in mezzo a noi è il fattore che rende indispensabile la Chiesa e la comunità cristiana, ben al di là dei difetti degli uomini che la compongono.
Dio vuole talmente il bene che si è fatto carico del nostro male e l’idea di una sorta di punizione divina, attraverso una epidemia, non fa certamente parte della visione cristiana.
Ho visto invece (grazie a Teletricolore e all’Ufficio per le Comunicazioni sociali) la Chiesa diocesana accanto a noi, impegnata a far sì che la liturgia nella sua ricchezza e nella sua bellezza venisse presentata come centro vitale della vita cristiana.

Questo mi è stato particolarmente chiaro in due momenti di questo lungo “digiuno”.
Il primo nel Triduo Pasquale e cioè l’“ora” di Gesù che muore e risorge, per cui quello che è avvenuto una sola volta, diventa evento per sempre. Il vescovo Massimo ci ha guidato per l’intero Triduo, fisicamente da solo nel Presbiterio, per fare memoria della morte di Cristo e della Sua Resurrezione. Ma il Vescovo non era affatto solo: c’eravamo anche noi, il popolo di Dio, presenti in tante case della intera Diocesi a vivere i Gesti e ad ascoltare la Parola.

Continua a leggere tutto l’articolo di Maurizio Rizzolo nella pagina dei Lettori su La Libertà del 20 maggio 2020

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