Terre alte

Da bambino ero affascinato da quella linea ondeggiante che, al tramonto, interrompeva il cielo ben sopra l’orizzonte della nostra campagna. Era il profilo delle nostre montagne, il nostro Appennino che in pochissimo tempo si incupiva quando non riceveva più direttamente i luminosi raggi del sole morente. Era in quel momento che si accendeva la mia fantasia: come sarà e che cosa ci sarà in quel mondo sconosciuto? Ascoltando i discorsi degli adulti quel territorio, così diverso e così lontano, era ricoperto in gran parte da fitti boschi che facevano pensare alle figure che nelle favole abitavano quei luoghi: dalle fate alle streghe, dagli gnomi ai folletti, dai maghi agli orchi, dai lupi ai draghi. 

Come potevano anche gli uomini vivere in quei posti selvaggi? Ma gli uomini ci vivevano, eccome ci vivevano; in età scolare ce lo spiegò la maestra. Anche quelle terre alte erano piene di risorse e di vita ed i loro abitanti si chiamavano “montanari”, gente di montagna, abituata alla fatica e a condurre un’esistenza essenziale, con pochi servizi e senza comodità. Spesso vivevano in piccoli borghi sparsi nelle vallate o nelle zone più facilmente raggiungibili. Ma anche in questo caso le strade erano strette ed impervie, percorribili soltanto da mezzi trainati da animali o a piedi. I bambini, nostri coetanei, dovevano percorrere anche diversi chilometri per raggiungere la scuola o la chiesa, per non parlare dei negozi e dei servizi di assistenza sanitaria. La maestra ci spiegò anche che la gente di montagna parlava un dialetto diverso dal nostro, ed a volte avevano anche un modo di camminare diverso, dovuto alla pendenza del suolo sul quale si muovevano abitualmente.

Leggi il testo integrale dell’articolo di Giuliano Lusetti su La Libertà del 22 aprile 2020 

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