Pubblichiamo l’omelia pronunciata dal Vescovo nella Domenica di Pasqua in Cattedrale il 12 aprile 2020.
Cari fratelli e sorelle,
nella Pasqua di Gesù Cristo, nella sua Passione e Resurrezione, “morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto, ma ora, vivo trionfa”. Così abbiamo cantato nella Sequenza pasquale. In queste parole è racchiuso il nucleo della nostra fede: la vita è più grande della morte, il male e il dolore non hanno mai l’ultima parola.
Una luce calda avvolge in questo mattino tutte le cose. Il fatto storico della Resurrezione di Cristo ci consola, ci dona speranza e la forza di affrontare ogni circostanza positiva o negativa, lieta o drammatica.
La Pasqua di Resurrezione non è però solamente un fatto del passato e non riguarda solamente Gesù Cristo. La sua Resurrezione è l’inizio di una nuova condizione per ogni uomo: il Signore risorto vive in noi e noi possiamo vivere in lui e per lui, gustando già ora la gioia che non finisce della vita eterna.
In queste settimane difficili, segnate dalla paura per il diffondersi della pandemia e da numerosi lutti, la fede nel Signore crocifisso e Risorto illumina di significato e riempie di pace le nostre anime e le nostre famiglie. Noi, infatti, in virtù del battesimo, siamo già stati sepolti nella morte di Cristo e siamo resuscitati con lui. E poiché già ora partecipiamo della sua vita risorta, possiamo comprendere e adempiere l’ammonimento ascoltato da San Paolo nella seconda lettura di questa liturgia: Cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio! (Col 3,1). Noi possiamo guardare con fiducia verso il Cielo, chiamare Dio con il nome di Padre; e soprattutto sappiamo che la nostra preghiera, quando è sincera ed è domanda di cose giuste, non cade nel vuoto. Viviamo in questo mondo guardando al Cielo, dove sappiamo che Gesù è presente con il suo corpo resuscitato: per questo siamo pieni di fiducia. La nostra fede è gioia. Una gioia pacata, ma sicura. Una gioia che ci rende indomiti e operatori di bene, testimoni desiderosi di condividere con tutti gli uomini e le donne del mondo il dono che abbiamo ricevuto.
In questo solenne giorno di Pasqua, desidero offrirvi anche un’altra riflessione che mi sembra particolarmente significativa in questo tempo di prova. Tralascio perciò di commentare il Vangelo di questo giorno e mi rivolgo a un altro vangelo della Resurrezione, quello dell’evangelista Luca.
Il mattino di Pasqua, gli apostoli rimangono interdetti alle parole delle donne che raccontano del sepolcro vuoto, della pietra rotolata via, dell’apparizione e delle parole degli angeli. Tutto questo sembra loro come un vaneggiamento. Poi Gesù appare loro, ma essi credono di vedere un fantasma. Allora il Signore, per farsi riconoscere, dice: Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! (Lc 24,38). Il primo segno attraverso cui il Risorto si fa riconoscere sono le ferite subite durante la Passione. Ciò significa innanzitutto che esse non sono scomparse. Sono rimaste, ma non sono più causa di sofferenza e di morte. Rappresentano la continuità con tutto ciò che Gesù aveva vissuto e sofferto precedentemente. La sofferenza non è stata cancellata, ma trasfigurata. Soprattutto: essa non è stata vana, ma ha costituito la porta attraverso la quale è entrata nel mondo la vita che non finisce. Era necessario che il Cristo fosse consegnato nelle mani dei peccatori e fosse crocifisso, per poter risorgere il terzo giorno (Lc 24,7).
Cari fratelli e sorelle, il giorno di Pasqua è il giorno della gioia. Ma non di una gioia disincantata o eterea, di una gioia solamente celeste. Il mistero della Pasqua entra realmente nella nostra vita, abbracciandola tutta, abbracciando le nostre ferite e trasfigurandole. La luce di questo giorno ci renda lieti e forti nella speranza, ardenti nella carità, certi nella fede e fiduciosi nel futuro. Il nostro presente è già abitato dalla presenza del Signore Risorto; il futuro che ancora non conosciamo è già nelle mani di Dio.
Amen.
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