L’altro giorno i quotidiani locali riportavano in bella mostra le immagini di un matrimonio, officiato in municipio da un consigliere-reporter, con tanto di bacio tra gli sposi protetto da vistose mascherine. La scena sarebbe stata analoga in caso di nozze in chiesa.
Erano solo i coniugi e i due distanziati testimoni. Lì per lì, sinceramente, non sapevo se apprezzare o compatire.
Poi mi sono fermato, cioè ho stoppato il criceto del giudizio – è una vita che non esce dalla gabbietta della mia scatola cranica, e si era già messo a correre sulla solita ruota – per rivolgere il dubbio ancora fumante contro di me: e io, o meglio… e noi, come ci saremmo comportati se la data del nostro grande sì, fissata per tempo sul calendario coordinando prete, fiorista, coro, fotografo, parrucchieri, ristoratore, parenti, sponsor, amici, agenzia viaggi… fosse ricaduta in questo periodo di inaudite restrizioni? Avremmo rimandato o perseverato? Beh, mi sono risposto che non si può sapere.
Continua a leggere tutto l’articolo di Edoardo Tincani nella rubrica “Diario di casa mia” su La Libertà dell’8 aprile