Comporre musica per la liturgia

Nel teatro parrocchiale di Ospizio l’esperienza di Mite Balduzzi

Correva l’anno 1986 quanto l’allora Papa Giovanni Paolo II, grazie a quella che viene definita una delle sue geniali invenzioni, incontrava migliaia di giovani a Roma nell’occasione della Prima Giornata Mondiale della Gioventù. “Sempre pronti a testimoniare la speranza che è in voi” recitava il motto scelto per quel primo incontro e, come si è consolidato negli eventi successivi, occorreva accostare a tale incontro anche un canto (quell’ormai famoso Inno che viene tuttora composto in una GMG) che potesse fissare nella memoria di molti alcune suggestioni di quella giornata. Quale inno poteva corrispondere alle esigenze di questo evento?

Nel medesimo periodo l’ipotesi di un recital dedicato all’episodio dei discepoli di Emmaus narrato dall’evangelista Luca non era ancora approdato ad una definitiva stesura ma, in lingua inglese, erano già state composte alcune canzoni. Tra queste, grazie ad un lavoro a più mani, si è arrivati alla versione italiana “Resta qui con noi”, brano musicale interessante in quanto si tratta di quel classico esempio in cui una composizione, pensata per un raduno di preghiera per giovani, è poi presto diventato un brano cantato da molti anni nelle nostre assemblee. Tale fenomeno pone sempre la riflessione su quale rapporto debba instaurarsi fra la “musica sacra” e quella a carattere religioso. Nella Sacramentum Caritatis del 2007 scriveva Benedetto XVI: “In quanto elemento liturgico, il canto deve integrarsi nella forma propria della celebrazione. Di conseguenza tutto – nel testo, nella melodia, nell’esecuzione – deve corrispondere al senso del mistero celebrato, alle parti del rito e ai tempi liturgici” (n. 42).

Leggi tutto l’articolo di Matteo Bondavalli su La Libertà del 4 marzo



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