Metà dell’economia nazionale e del gettito fiscale è prodotta al nord
Se l’emergenza coronavirus dovesse diffondersi a dismisura in tutte le regioni del Nord e durasse qualche mese, come hanno ipotizzato molti esperti di virologia, il rischio che una buona parte dell’economia nazionale si fermi è alquanto probabile. Dall’Ufficio studi della CGIA segnalano, con un report del 29 febbraio, che in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Liguria viene “generata” la metà del Pil nazionale e del gettito fiscale che finisce nelle casse dell’erario; vi lavorano oltre 9 milioni di addetti occupati nelle imprese private (pari al 53% del totale nazionale); da questi territori partono per l’estero i 2/3 delle esportazioni italiane e si concentra il 53% circa degli investimenti fissi lordi.
Rifinanziare Cigo e Cigs, ridare credito alle Pmi e la PA paghi i suoi debiti. Oltre alle misure urgenti che interessano le attività e i contribuenti che rientrano nei Comuni ubicati nella cosiddetta zona rossa è altresì necessario che l’Esecutivo metta a punto una misura strutturale che interessi tutta l’economia. “Il danno di immagine provocato al nostro Paese dal coronavirus è alquanto pesante. Molti settori produttivi – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – sono già allo stremo, per questo chiediamo al governo di approvare subito un intervento di mediolungo termine che preveda il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali e l’estensione degli stessi ai settori che oggi ne sono sprovvisti, si rafforzino le misure di accesso al credito delle Pmi e la Pubblica Amministrazione paghi tutti i debiti che ha contratto con i propri fornitori”.
Bisogna rilanciare gli investimenti pubblici, Oltre a questo, la CGIA chiede di rilanciare anche gli investimenti pubblici. Afferma il segretario, Renato Mason: “Nei giorni scorsi il Commissario Europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, ha annunciato che Bruxelles, così come ha già fatto in passato quando abbiamo affrontato altre importanti emergenze come il terremoto nel centro Italia e l’arrivo in massa dei migranti nei porti del Sud, ci riconoscerà una dose di flessibilità che ci consentirà di non rispettare gli impegni assunti in merito al rapporto deficit/Pil. Risorse che, a nostro avviso, devono essere spese per la rilanciare gli investimenti pubblici, per ammodernare questo Paese, in altre parole per ridare fiato ad una economia che, altrimenti, rischia di entrare in recessione”.
La crisi ci costerà 7 miliardi di euro? A quanto potrebbero ammontare gli effetti del coronavirus sulla nostra economia? Secondo l’Ufficio studi della CGIA è molto difficile quantificare economicamente l’impatto, anche perché molto dipenderà dalla durata temporale di questa fase emergenziale. Tuttavia, si segnala che nelle settimane scorse il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha ipotizzato una “perdita” di qualche decimale di Pil. Se, ad esempio, la ricchezza prodotta dovesse scendere di 0,4 punti percentuali, così come prevedono alcuni istituti di ricerca, il danno economico ammonterebbe a circa 7 miliardi di euro. Una cifra, comunque, puramente indicativa che, è bene sottolinearlo, non è supportata da alcun riscontro statistico.
Nell’ultimo anno le banche hanno tagliato i prestiti di 33· miliardi e la PA deve 53 miliardi ai fornitori. Le richieste rivolte dalla CGIA al Governo appaiono più che giustificate, visto che i dipendenti del settore del turismo e tutto il comparto delle microimprese, inclusi i titolari di queste ultime, non beneficiano di alcuna misura di sostegno al reddito in caso di crisi aziendale. La stretta creditizia, purtroppo, è proseguita anche nell’ultimo anno. Tra il dicembre del 2019 e lo stesso mese del 2018 (ultimi dati disponibili), gli impieghi vivi alle imprese (prestiti bancari al netto delle sofferenze, ovvero prestiti in bonis) sono diminuiti di ben 33 miliardi di euro (-4,9%). Questa contrazione, che ormai dura ininterrottamente dal 2011, sta mettendo a dura prova la tenuta finanziaria di moltissime piccole e piccolissime attività che da sempre sono a corto di liquidità e sottocapitalizzate. Anche a seguito della sentenza di condanna inflittaci nel mese scorso dalla Corte di giustizia europea, la nostra Pubblica Amministrazione deve pagare i debiti commerciali contratti con i propri fornitori. Secondo le stime elaborate dalla Banca d’Italia, il debito ammonterebbe a 53 miliardi di euro, metà del quale sarebbe imputabile alla violazione dei tempi di pagamento che, secondo la Direttiva europea 2011/7/UE, impone alle Amministrazioni pubbliche termini di pagamento non superiori a 30 e 60 giorni (in quest’ultimo caso solo per il settore sanitario).