Un mio amico, uscendo dalla sala dopo la proiezione ha sintetizzato perfettamente tutta la faccenda dicendo “questo film è la lampante dimostrazione di come al mondo possano esistere cose talmente belle da non poter essere deturpate da niente e nessuno, neppure da Walter Veltroni”.
E nella sua sagace brutalità il discorso è proprio così.
La pellicola si divide in due parti, la prima di quasi mezz’ora costituita da interviste alle persone coinvolte nel progetto (la PFM al completo, Dori Ghezzi, l’autore delle riprese, il fotografo e giornalista musicale Guido Harari ecc…) seguita da un’ora abbondante di materiale registrato live il 3 gennaio 1979 a Genova, durante il famoso tour che vide questi due giganti della musica italiana condividere il palco.
Come tutti ben sanno dal tour in questione venne tratto un doppio album dal vivo che fece epoca e anche scuola; tant’è che da allora non si contano più le strane coppie di musicisti/band che hanno scelto di unire gli sforzi per un tour o anche solo per un disco cercando di replicare l’irripetibile alchimia musicale che rese quella serie di concerti e il disco un evento.
Sul filmato del concerto registrato più di quarant’anni fa c’è poco da dire. Le canzoni e i meravigliosi arrangiamenti creati dalla premiata ditta Mussida/Di Cioccio/Premoli/Djivas sono ormai patrimonio culturale della musica tutta. Le immagini sono riprese con una sola telecamera che si sposta da un De Andrè seduto sullo sgabello in mezzo al palco mentre canta e pizzica la chitarra ai musicisti, che coi loro puntuali interventi musicali arricchiscono ulteriormente lo spettro sonoro di canzoni che già in origine erano dei capolavori. Ovviamente la qualità video e audio non è neanche lontanamente paragonabile a quella di attuali prodotti analoghi, visto che all’epoca il massimo ritrovato tecnologico nel settore era il Dolby (senza surround).
Ma qua la differenza la fa la pura emozione che queste immagini e questi suoni, datati quanto si vuole, riescono a trasmettere allo spettatore. Vedere Fabrizio suonare, cantare, fumare e bere sul palco, sotto lo sguardo benevolo e divertito della PFM, è una commovente gioia a cui nessuno dovrebbe rinunciare. Persino i brevi discorsi con cui introduce alcuni pezzi (all’epoca) più nuovi come Rimini o Zirichiltaggia non fanno altro che aumentare il tasso emozionale di tutta l’operazione, anche se la scelta di integrare le immagini scarne e a volte sfocate delle riprese video con lo scorrere in sovraimpressione dei testi pronunciati da Fabrizio è una scelta registica non sempre felice.
E qui risiede appunto l’unico neo di tutta questa altrimenti lodevole iniziativa: la regia, cioè Walter Veltroni.
La prima mezz’ora è un insieme di immagini, fotografie d’epoca e narrazione di succulenti aneddoti da parte di coloro che hanno conosciuto, lavorato e vissuto con Fabrizio De Andrè. Tutte cose che dovrebbero far sbavare un qualsiasi fan del cantautore genovese.
Purtroppo il buon Walter, autore del soggetto oltre che della regia, ha deciso di costruirci intorno una serie di situazioni finte e trite che rendono questa prima parte del film irritante. Confesso che durante la prima mezz’ora stavo quasi per alzarmi ed uscire dalla sala, e solo la certezza di quello che mi sarei perso facendolo mi ha convinto a proseguire con questo strazio.
La scena della carrozza bar del treno, con due membri della PFM, David Riondino e Dori Ghezzi che si raccontano vicendevolmente episodi della loro vita legati al tour e alla figura di Fabrizio, è quanto di più falso, spocchioso, finto e costruito a tavolino mi sia capitato di vedere su un qualunque schermo. E anche le altre interviste suonano autentiche come una banconota da trenta euro. Ed è un vero peccato, perché di materiale succulento ce n’era per rendere interessante anche questa parte del film, solo che Veltroni ha preferito piacersi e compiacersi inventandosi una serie di situazioni totalmente farlocche per dimostrare chissà a chi che è un regista vero.
Walter Veltroni politicamente parlando non è stato certamente la cosa peggiore capitata al PD in questi anni; di sicuro però la settima arte può fare tranquillamente a meno del suo assolutamente prescindibile apporto.
Il voto finale per questa pellicola non può quindi che tenere conto di queste due sensazioni contrastanti suscitatemi dalle visione. Mi sento di assegnare un nove al filmato del concerto (nonostante l’esclusione di due pezzi da novanta come “Maria nella Bottega del falegname” e “Verranno a chiederti del nostro amore”, perché?), e un quattro alla parte deturpata dall’ex principe di Botteghe Oscure.
La media matematica fredda, cruda e spietata dice sei e mezzo. Tenendo presente che la parte del concerto dura il doppio rispetto alla prima e che negli ultimi versi de “Il Testamento di Tito” che recitano “nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l’amore” lo stesso Fabrizio De Andrè ci invita a non lasciarci sopraffare da sentimenti in grado di obnubilare la nostra umanità, alzo il voto di un punto e arrivo a sette e mezzo.
Ok Walter, sono stato buono con te oggi, tu però fammi solo un favore, lascia stare il cinema. Anche io come te sono un grande fan di Pasolini e del neorealismo, ma non lo ritengo un motivo sufficiente per tediare il pubblico in sala.
Mj Silent