“Dopo la sentenza di condanna emessa il 28 gennaio scorso dalla Corte di giustizia europea nei confronti
del nostro Paese, saremo chiamati a pagare una maximulta da 2 miliardi di euro ?”
A porsi la domanda è il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, Paolo Zabeo, che, stando a quanto hanno dichiarato nei giorni scorsi alcuni autorevoli esperti, i sistematici ritardi nei pagamenti compiuti dalla nostra Pubblica Amministrazione (PA) potrebbero far scattare una maximulta come quella ricevuta per le quote latte che, fino ad ora, ci è costata circa 2 miliardi di euro. E’ quanto si legge in un report dell’8 febbraio. Tutto questo,
comunque, potrà essere evitato se lo Stato italiano metterà fine in tempi rapidissimi a questa cattiva abitudine. Ipotesi, viste le performance realizzate nel 2019, difficilmente attuabile. “Sebbene la situazione negli ultimi anni sia migliorata, in particolar modo a seguito dell’introduzione della fatturazione elettronica – prosegue Zabeo – i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali con la PA costituiscono ancora
adesso un malcostume molto diffuso nel nostro Paese. Pertanto, non sarà per nulla scontato sottrarsi ad una sanzione economica da parte dell’Europa”
Il Comune di Napoli paga con un anno di ritardo. Anche nel 2019 i ritardi nei pagamenti dello Stato e delle sue articolazioni a livello locale sono stati molto diffusi. Se la Direttiva 2011/7/UE impone, nelle transazioni commerciali tra PA e imprese private, termini di pagamento non superiori a 30 o 60 giorni (in quest’ultimo caso solo per il settore sanitario), l’anno scorso, ad esempio, il Comune di Napoli ha liquidato i propri
fornitori con 395 giorni medi di ritardo; l’Asl Napoli 1 Centro con 169; il Comune di Reggio Calabria con 146,
la Regione Basilicata con 83, l’ASL Roma 1 con 72 e il Comune di Roma Capitale con 63. Situazioni, queste
ultime, che saranno estremamente difficili da azzerare in tempi ragionevolmente brevi. Una condizione, come segnalavamo più sopra, indispensabile affinché Bruxelles ci risparmi una maximulta. Senza contare che nel settore della sanità e in quello delle costruzioni i ritardi, rispetto ai tempi massimi di attesa previsti dalla legge, vengono superati, secondo le rilevazioni effettuate dalle associazioni imprenditoriali di questi
settori, rispettivamente di 39 e di 73 giorni di media. Ritardi che, purtroppo, difficilmente potranno essere riportati celermente al di sotto dei limiti previsti dalla normativa. “La nostra PA – dichiara il segretario della CGIA Renato Mason – in particolar modo nel Mezzogiorno continua a pagare con ritardi del tutto
ingiustificati. Questa situazione, associandosi al perdurare della contrazione degli impieghi bancari nei confronti delle aziende, ha peggiorato la tenuta finanziaria di moltissime piccole realtà produttive che tradizionalmente sono sottocapitalizzate e a corto di liquidità”
Nonostante l’obbligo della fatturazione elettronica, lo stock del debito è sconosciuto. La cosa più assurda di tutta questa vicenda è che nessuno è in grado di affermare a quanto ammonta esattamente il debito commerciale della nostra PA, nonostante le imprese che lavorano per quest’ultima abbiano da parecchi
anni l’obbligo di emettere la fattura elettronica. Come funzionano i pagamenti in queste transazioni commerciali? Una volta emessa, la fattura elettronica transita in una piattaforma controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Siope +) che la smista all’ente o alla struttura pubblica a cui è indirizzata che, a sua volta, verifica se il pagamento è certo, liquido ed esigibile. Una volta che il destinatario della fattura dà il suo consenso, il pagamento dovrebbe transitare per la piattaforma, permettendo al dicastero dell’economia di monitorare istantaneamente i tempi di pagamento e l’ammontare delle uscite. Sebbene questa prassi sia partita gradualmente dal luglio del 2017, lo Stato non conosce ancora adesso a quanto ammonta complessivamente il debito contratto da tutte le Amministrazioni pubbliche con i propri fornitori, per il semplice fatto che una buona parte dei committenti pubblici, in particolar modo gli enti periferici, effettuano i pagamenti senza transitare per la piattaforma e con scadenze ben oltre quelle stabilite dalla
legge. Secondo le stime della Banca d’Italia sono 53 miliardi. Secondo i dati riportati nella “Relazione annuale 2018”, presentata il 31 maggio 2019 dalla Banca d’Italia, l’ammontare complessivo dei debiti commerciali della nostra PA sarebbe pari a circa 53 miliardi di euro, metà dei quali ascrivibili ai ritardi di pagamento.
L’utilizzo del condizionale è d’obbligo, visto che il periodico monitoraggio condotto dai ricercatori di via Nazionale si basa su indagini campionarie condotte sulle imprese e dalle segnalazioni di vigilanza da cui emergono dei risultati che, secondo gli stessi estensori delle stime, sono caratterizzati da un elevato grado di incertezza. Recentemente è intervenuta anche la Corte Costituzionale. Con la sentenza n° 4 del 28 gennaio scorso, la Corte Costituzionale ha stabilito che le anticipazioni di liquidità ottenute dagli enti locali per onorare le passività pregresse sono prestiti di carattere eccezionale che devono essere utilizzati per la finalità per cui sono stati erogati e non per migliorare i risultati di bilancio. La sentenza, quindi, chiude definitivamente una
controversia sollevata dalla Corte dei Conti nei confronti del Comune di Napoli. Nel recente passato, infatti, non sono stati pochi i Sindaci e anche i Governatori che hanno utilizzato i prestiti statali sblocca-debiti erogati dal 2013 per assestare i bilanci di Comuni/Regioni, anziché per liquidare le vecchie fatture dei propri fornitori. Una condotta che la Corte Costituzionale ha finalmente chiarito che non può più essere praticata. Perché la PA paga in ritardo? Le principali cause che hanno dato origine a questa cattiva abitudine tipicamente italiana sono le seguenti: la mancanza di liquidità da parte del committente pubblico; i ritardi intenzionali; l’inefficienza di molte amministrazioni a emettere in tempi ragionevolmente brevi i certificati di pagamento; le contestazioni che allungano la liquidazione delle fatture. A queste ragioni ne vanno
aggiunte almeno altre due che, tra le altre cose, hanno indotto la Corte di Giustizia europea a condannarci nelle scorse settimane. Esse sono: la richiesta, spesso avanzata dalla PA nei confronti degli esecutori delle opere, di ritardare l’emissione degli stati di avanzamento dei lavori o l’invio delle fatture; l’istanza rivolta
dall’Amministrazione pubblica al fornitore di accettare, durante la stipula del contratto, tempi di pagamento superiori ai limiti previsti per legge senza l’applicazione degli interessi di mora in caso di ritardo.