Trascorsi i giorni della purificazione prescritti da Mosè, Giuseppe e Maria compiono il gesto previsto dalla legge, e cioè la presentazione del figlio al tempio. E se c’è una immagine che ci aiuta subito a comprendere la diversità con cui il Signore coglie il senso della grandezza e del potere, è proprio la presentazione al tempio. Gesù entra in braccio alla madre, piccolo nella sua grandezza; entra nel modo più semplice possibile, in silenzio.
Proviamo ad immaginare la scena. Giuseppe e Maria, giovani sposi, entrano e attorno a loro è tutto un susseguirsi di preghiere, parole distratte, sguardi rapidi. Anche i sacerdoti del tempio non si rendono conto di quanto sta avvenendo in quel momento e prestano poca attenzione a quel bambino.
Si prega per il Signore e lui è proprio lì, in carne e ossa; piccolo fagotto stretto tra le braccia della madre: “entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate”, leggiamo in Malachia; “l’angelo dell’alleanza” entrerà nel tempio per “purificare” e “affinare” i ministri del culto perché l’offerta sia “secondo giustizia” e possa risultare “gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani”.
Va incontro al suo popolo e visita il suo tempio come neonato indifeso. Luca, nel Vangelo di questa domenica – la Candelora, festa della vita consacrata e Giornata per la vita con il tema “aprite le porte alla vita”, occasione “per rinnovare l’impegno di custodire e proteggere la vita umana dall’inizio fino al suo naturale termine” – mette in primo piano quattro persone, colte “nel momento in cui fanno esperienza dell’incontro con il Signore nel luogo in cui egli si fa presente e vicino all’uomo”, dice Papa Francesco all’Angelus. Sono Maria e Giuseppe, Simeone e Anna, che rappresentano “modelli di accoglienza e di donazione della propria vita a Dio”, che “cercavano Dio e si lasciavano guidare dal Signore”.
Leggi il resto dell’articolo di Fabio Zavattaro su La Libertà del 12 febbraio