“Il titolo “Mediterraneo, frontiera di pace” può essere letto anche rovesciato, ‘Pace senza frontiere,’ perché se il Mar Mediterraneo deve essere una frontiera, è meglio che sia una frontiera di pace e non di guerra, di vita e non di morte come è in questo momento”. Il cardinale Cristóbal López Romero è arcivescovo di Rabat. Parteciperà a Bari all’Incontro promosso dalla Cei, insieme ai vescovi di diciannove Paesi che si affacciano sul grande mare (domenica 23 febbraio Messa conclusiva presieduta dal Papa). Porterà la voce di un Paese che si trova sulla rotta di una migrazione che non conosce tregua. Negli ultimi 30 anni, sono almeno 8mila le persone che hanno perso la vita nel disperato tentativo di raggiungere l’Europa attraverso lo Stretto di Gibilterra. Cercano di farlo anche via terra, scavalcando le barriere che separano il Marocco da Ceuta e Melilla, le due enclavi spagnole che si trovano nel Nord del Paese. “Amerei molto che i miei confratelli vescovi europei insistano sul fatto che i cristiani devono avere un cuore aperto”, dice il cardinale quando lo incontriamo a Roma: “Non so come fare e quali legge fare, ma almeno il cuore deve essere aperto”.
A cosa si riferisce?
Non è possibile che un cristiano abbia verso le persone immigrate un atteggiamento di rifiuto. Non è accettabile.Un giorno quando ci presenteremo davanti a Dio, Lui ci dirà: ‘Vieni alla mia destra perché ero migrante e mi hai accolto’.
Non so poi se le frontiere debbano essere totalmente aperte o meno. Non sto indicando regole o limitazioni. Questo spetta alla politica deciderlo. Ma il cuore deve essere aperto e l’atteggiamento dei cristiani verso i migranti non deve essere sprezzante ma quello che vede in loro dei nostri fratelli.
Leggi il resto dell’articolo di Maria Chiara Biagioni su La Libertà del 12 febbraio