La Chiesa entra negli «hospice»

Assistenti e cappellani per trasformare il tempo che resta in ricerca di Dio

Non chiedere mai ad un malato terminale: “Come stai?” e neppure dire “ti capisco” o “abbi pazienza”. Meglio chiedere: “Come posso aiutarti?” oppure: “Come è andata la notte?”. Queste persone non ci chiedono una risposta ma la condivisione di una verità e il loro dolore ha bisogno di spazio, di essere ascoltato e magari anche urlato. E rispettato perché, come dice il piccolo principe nell’omonimo romanzo di Saint-Exupéry,
“è talmente misterioso il mondo delle lacrime!”.
Ne è convinto don Carlo Abbate, da 14 anni cappellano a Roma dell’hospice Villa Speranza (Asl Roma1), struttura residenziale con 30 posti letto nella quale vengono accolte circa 450 persone l’anno, che nell’ambito della Giornata di studio per assistenti spirituali e cappellani degli hospice, promossa il 15 gennaio a Roma dall’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, ha offerto un importante contributo sui modelli di assistenza e accompagnamento al morente.

Leggi tutto l’articolo di Giovanna Pasqualin Traversa su La Libertà del 29 gennaio

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