Cattolici e politica: prima di tutto la Fede

Da La Libertà dell’11 dicembre…

Nel suo Discorso alla Città e alla Diocesi su “I cattolici italiani e la politica” il vescovo Massimo spariglia le carte. Infatti da molto tempo, quando si affronta l’argomento, si finisce per bloccarsi sull’interrogativo “per chi votiamo?” o per cercare una piattaforma di valori “comuni” su cui impegnarsi unitariamente. Dobbiamo constatare che abbiamo bisogno di un altro passo, determinante per tutti i cristiani laici, e cioè di un’educazione comune alla fede.
Il Vescovo fa infatti una proposta che soddisfa tante domande: “Non voglio radunare i credenti per parlare di politica, ma vorrei incontrare i politici credenti per parlare della fede”.
Alla Chiesa interessa ogni aspetto della vita umana e non conosce limiti nell’annuncio del Vangelo e in nome di Cristo invita gli uomini, tutti gli uomini, ad un comune cammino che attesta la fecondità dell’incontro tra Vangelo e i problemi che l’uomo affronta nella sua vicenda storica.

Mi pare che da questo assunto determinante, “la fede prima di tutto”, derivino conseguenze pienamente conformi alla legge morale.
L’enciclica “Centesimus annus” di Giovanni Paolo II, ad esempio, accoglie il sistema della democrazia quando questa assicura la partecipazione dei cittadini e la retta concezione della persona umana. Non può quindi favorire la formazione di ristretti gruppi dirigenti che, per motivi ideologici, usurpano le stesse regole democratiche.
Se non esiste nessuna verità ultima che guida e orienta l’azione politica, tutto diventa poco affidabile e l’assunzione del bene comune come fine e criterio regolatore della vita della comunità civile una mera dichiarazione.

La comunità politica e la società civile, pur interdipendenti, non sono uguali nella gerarchia dei fini. L’impegno della Chiesa a favore del pluralismo sociale e quindi alla distinzione tra comunità politica e società civile risponde ai principi della solidarietà, della sussidiarietà e della giustizia.
Il Vescovo chiama in campo i “corpi intermedi” e cioè l’insieme di relazioni, di associazioni, di volontariato, di soggetti sociali a cui lo Stato deve fornire una cornice giuridica adeguata e nel rispetto del principio di sussidiarietà.
I corpi intermedi sono stati protagonisti della crescita democratica del nostro Paese, tanti di noi sono cresciuti e educati a vivere questa dimensione. La Chiesa ci ha accompagnato quotidianamente in questa formazione e noi, pur nella manchevolezza, abbiamo avuto sempre chiaro che anche l’impegno politico è un aspetto dell’apostolato di ciascun cristiano.

Quando il Vescovo auspica che possa nascere una nuova classe dirigente ci spiega molto bene che è un percorso lungo, da preparare proprio nelle associazioni, nei movimenti, nei circoli culturali, nelle opere della carità e in tutti quei momenti che la fantasia dello Spirito ha saputo ispirare.
Coloro che hanno responsabilità politiche non devono sottovalutare la dimensione morale della rappresentanza, lo spirito di autentico servizio, la passione per il bene.
In questi anni l’appartenenza ad un gruppo politico ha avuto la preminenza sull’appartenenza alla comunità cristiana. Ma noi, dice il Vescovo, dobbiamo recuperare la consapevolezza di appartenere ad un’unica Chiesa fondata su un’unica fede.

In fondo sappiamo tutti che è così. Il nostro Pastore conclude il suo Discorso alla Città con un’altra evidenza che sappiamo essere vera: senza Dio anche la costruzione di una città per l’uomo finisce per essere un traguardo impossibile.

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