I doveri di noi immigrati

Salve a tutti; ci tengo molto a presentarmi e a scrivere due parole sull’argomento molto discusso già da un po’ di tempo, sia da immigrati e che da qualche italiano cosiddetto “buonista” (senza offesa): il razzismo.
Premessa: mi chiamo Haliga Ancuta Catalina e, da come si legge, ho un nome straniero non perché i miei genitori volessero fare i moderni, ma perché provengo da un paese straniero.
Vivo in Italia da vent’anni, da quando sono entrata sul territorio italiano sedicenne ed ero clandestina insieme a colui che ora è mio marito, Cristian, allora ventenne. Non abbiamo mai avuto una vita facile, anzi: è sempre stata piena di problemi, di prove, di difficoltà economiche e lavorative, ma non ci siamo mai arresi, non abbiamo mai mollato, non ci siamo mai abbandonati alla malavita e abbiamo sempre affrontato con coraggio e, soprattutto, umiltà, i nostri problemi. Non siamo supereroi: ultimamente ce ne sono pochi degni di questo appellativo. Abbiamo affrontato tutto anche con l’aiuto di altre persone che sono, dopo vent’anni, ancora molto vicine e care, tanto che le chiamiamo mamma, papà, sorelle, fratelli e nonni, perché nel cuore sentiamo davvero questo legame. Ogni volta che abbiamo avuto bisogno di un sostegno morale e non solo, loro c’erano.

Quello però che vorrei far capire a tutti voi è che un aiuto ci è stato sempre offerto da tanti italiani, compresa la Caritas, che allora ci davano pranzo e cena gratis, come la Caritas fa tuttora con migliaia di immigrati e persone bisognose. Con la differenza che noi lo accettavamo ringraziando i volontari, e soprattutto Dio, per il buon cibo donato, e se rimaneva pane o altro cibo lo conservavamo per mangiarlo in seguito, non perché non ce ne venisse offerto dell’altro….

Continua a leggere tutto l’articolo di Haliga Ancuta Catalina su La Libertà del 4 dicembre

 

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