Quelle piccole speranze concrete

U.S. Air Force Staff Sgt. Carrie Gatz, an instrumentalist with the 566th Air Force Band, Illinois Air National Guard, plays guitar for a hospice patient at her civilian job Sept. 11, 2013. Gatz has served in the Air National Guard since 2004. (Photo © Bart Harris, used by permission.)

Dal costante dialogo della redazione de La Libertà con gli Uffici diocesani nascono nuove collaborazioni: la prima puntata di una rubrica che periodicamente proporremo ai lettori, “Pillole di Speranza”, in questo caso firmata da Annamaria Marzi, direttrice dell’Hospice Casa Madonna dell’Uliveto di Montericco.

“Vegliate con me”, questo il titolo di un libro di Cicely Saunders, fondatrice del primo hospice moderno, il St. Christopher a Londra. E in questo atto del ‘vegliare’ c’è la sintesi di un prendersi cura – non solo dei pazienti in fase avanzata di malattia – che ispira il movimento hospice. È l’approccio delle Cure Palliative, che considera il dolore globale della persona malata, il suo ‘umano soffrire’, assumendone tutte le dimensioni: fisiche, sociali, psicologiche e spirituali.
Nella Casa Madonna dell’Uliveto si ‘veglia’, nel senso di un esserci, connotato da rispetto e attenzione ad ogni persona assistita. Con competenza e compassione, prossimità senza “con-fusione”. Vegliare con chi soffre significa comprendere che cosa succede, spiegare e allontanare il più possibile il dolore: significa soprattutto “esserci”, come professionisti e come équipe curante multidisciplinare, per comprendere i bisogni di ogni paziente e cercare di dare sollievo.

L’attenzione ai bisogni spirituali fa parte della cura della persona malata, specialmente quando l’orizzonte della vita si chiude. Tra questi è fondamentale il bisogno di speranza, variamente definita, “negoziata” e trasformata dentro al proprio percorso di cura. Nell’esperienza della malattia a prognosi infausta, e del dolore che l’accompagna, la speranza, come capacità di proiettarsi nel futuro e di affidarsi, entra in crisi. Una malattia grave genera la speranza di poter guarire, a cui ci si aggrappa per trovare una risposta alla domanda “Perché proprio a me?”.

Leggi il testo integrale dell’articolo di Annamaria Marzi su La Libertà del 27 novembre

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