Sinodo per l’Amazzonia, i nodi

Don Burani valuta critiche e obiezioni sull’«Instrumentum laboris»

Continua l’approfondimento sul Sinodo per la regione panamazzonica (in programma dal 6 al 27 ottobre a Roma) curato per La Libertà da don Gabriele Burani. Dopo l’articolo sull’edizione del 25 settembre (a pagina 15), la riflessione prosegue di seguito con l’analisi di alcune questioni aperte. Ricordiamo che domenica 6 ottobre dalle ore 15 nella parrocchia di Villa Sesso si terrà un pomeriggio dedicato all’Amazzonia con workshop, visita alla mostra, cena e interventi di don Burani e don Carlotti (si veda la locandina).

Sono state sollevate molte critiche e obiezioni all’Instrumentum laboris del Sinodo e sono da prendere sul serio. Cercherò di presentare in modo sintetico le critiche più frequenti, con una mia valutazione.

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* I sinodi dei vescovi dovrebbero trattare di questioni riguardanti la Chiesa universale; perché un Sinodo solo riguardante un territorio limitato e che interessa soltanto 3 milioni di persone?
Il territorio considerato è la regione Pan-Amazzonica, che interessa 9 stati e 33 milioni di persone. Sono 3 milioni gli indios, ma ci sono molte altre persone. Formalmente questa è una “assemblea speciale” del Sinodo dei vescovi, nel senso che riguarda un territorio limitato. D’altra parte le questioni poste dalla Amazzonia hanno una ricaduta mondiale, ci sono conseguenze per tutta l’umanità.

* Una critica del cardinale Müller è la confusione teologica: le fonti della Rivelazione sono la Sacra Scrittura e la Tradizione della Chiesa. Qui si parla anche di un ‘territorio’ come luogo di Rivelazione…
è Gesù Cristo il centro, il punto più alto della Rivelazione di Dio, ma non potremmo pensare che tutto il creato (e dunque anche la foresta amazzonica) rivela qualcosa di Dio, se è vero che tutto è stato fatto per mezzo di Cristo? Certo, occorre attenzione per non cadere nel panteismo: la natura non si identifica con Dio, ma se la natura è creazione di Dio, sicuramente rivela qualcosa del Creatore.

Leggi il testo integrale dell’articolo di Gabriele Burani su La Libertà del 2 ottobre

 

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