Una luminosa testimonianza di vita

Dal settimanale diocesano “Il Momento” della Chiesa di Forlì – Bertinoro, riceviamo un contributo del direttore don Franco Appi sulla spiritualità della nuova beata.

La sofferenza non è la causa della salvezza o della santità: lo è la sfida di riconoscere un senso nella vita che va oltre la sofferenza stessa e che la sofferenza non può abbattere. Questa è la testimonianza di Benedetta, nel suo desiderio di vivere in pienezza di umanità, sostenuta da un cammino di fede.
Non si pensi che la sua sofferenza non abbia inciso in lei anche negativamente. Ci sono nella sua vita diverse tappe.
Il cammino non è stato facile, in una lotta fra la tristezza della sua condizione e la sua volontà di vivere. Ricerca con ostinazione il significato di ciò che le sta accadendo.
Nel 1953, in una lettera all’amica Anna, dice: “Io cerco dalla vita ciò che non c’è. Desidero tanto la verità… nessuno ne sa nulla”.

Dieci anni prima della sua morte parlava della sua vita triste e vuota.
Poi, in un movimento dinamico del pensiero, parla della sua morte come dell’incontro atteso con il Padre. Così, nelle situazioni di sofferenza interiore non si abbatte, rivelando un temperamento ricco di risorse.
Afferma di suonare il pianoforte, leggere, dipingere, studiare, lavorare a maglia. In un’altra lettera scrive: “Oggi sento nell’aria odore di primavera: come è bella la vita, Maria Grazia”.

Secondo David Maria Turoldo, Benedetta raggiunge una sapienza da lei stessa definita non nostra, non umana. Interpreta gli avvenimenti della sua vita alla luce di una sapienza biblica ed evangelica, come si nota quando si confida con la mamma, prima dell’operazione alla testa: “Ieri sera, quando mi hanno tosata, ho sofferto molto (…) e ho domandato al Signore di essere una pecorella nelle sue mani”.

Leggi tutto l’articolo di Franco Appi su La Libertà del 25 settembre



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