Un Vangelo fruibile da tutti i musulmani

Il dialogo? Strada a due corsie. Da uno studio di padre Borrmans

Premessa
Sappiamo che l’Islam non riconosce come autentici i quattro vangeli canonici cristiani, poiché li considera “alterati” dagli Evangelisti, dai Dottori della Chiesa nascente e dai Concili Ecumenici. Il considerevole sforzo di trovare una comune base teologica e dottrinale condivisibile con il mondo musulmano, in un campo tanto controverso, è un vero atto di carità e di amore che merita di essere conosciuto e meditato profondamente sia dal mondo cristiano che da quello musulmano, anche della nostra Diocesi. Il dialogo dei Cristiani con i Musulmani deve essere visto come una strada a due corsie: non solo i cristiani devono essere portati a conoscere l’Islam, ma anche i musulmani devono essere portati a conoscere, magari sommariamente, la religione cristiana.

Dal Concilio Vaticano II sono giunti diversi documenti in tal senso, come il famoso “Dialogo e Annuncio”, per non farci dimenticare il mandato della Chiesa di annunciare la “Lieta Novella” a tutti gli “Uomini di buona bolontà” di tutti i popoli della terra.
Da questo mese, con una collana di più articoli, mi propongo di portare alla luce della conoscenza questo straordinario documento che ci ha lasciato il grande studioso padre Maurice Borrmans, senza alcuna intenzione né di convertire i musulmani, né di rinunciare ai nostri dogmi di fede per compiacerli.

Articolo numero 1
In occasione del quarantesimo anniversario della promulgazione del Decreto conciliare Ad Gentes sull’attività missionaria della Chiesa (7 dicembre 1965) e del quindicesimo anniversario della pubblicazione dell’Enciclica Redemptoris Missio di Giovanni Paolo II (7 dicembre 1990), dobbiamo riflettere sul cammino percorso e interrogarci sulla validità di questi documenti dato che si tratta del dialogo interreligioso e dell’emulazione spirituale che i testimoni del vangelo sono chiamati a vivere insieme a questa moltitudine di compagni di strada che sono, oggigiorno e dovunque, i musulmani di ogni cultura e tradizione. Senza ripetere qui la storia movimentata del Concilio e dell’elaborazione progressiva dei suoi testi maggiori, ancora si deve prendere coscienza delle sue “sorprese” provvidenziali e, tra queste, vi è l’emergenza inattesa della Dichiarazione Nostra Aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane alla quale nessuno aveva pensato alle soglie stesse del Concilio.

L’Enciclica Ecclesiam Suam di Paolo VI (6 agosto 1964) vi aveva fortemente contribuito, poiché vi si affermava che “la Chiesa deve entrare in dialogo con il mondo nel quale vive. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa conversazione in vista del «dialogo di salvezza» con un «primo cerchio», quello di tutti gli uomini, e di un «secondo cerchio», quello di coloro che adorano il Dio unico e sovrano, cioè i figli del popolo ebraico, i fedeli della religione monoteista musulmana e quelli delle grandi religioni afro-asiatiche”. Non è per questo che Paolo VI aveva creato, nella Pentecoste 1964, un Segretariato per i non cristiani, divenuto l’attuale Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso nel 1997?
Come dunque si situano i due documenti che abbiamo citato, Ad Gentes e Redemptoris Missio, rispetto ai nusulmani ed al loro Islam? (Tanto più che l’espressione ad gentes non è mai tradotta nell’Enciclica del 1990, mentre essa è oggetto di traduzioni contraddittorie quando si tratta del Decreto conciliare: si deve dire ai pagani – come fa spesso la traduzione francese ufficiale – o alle nazioni, che è più fedele allo spirito di san Paolo?).

Continua a leggere tutto l’articolo di Alfredo su La Libertà del 17 luglio

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