Collagna ovvero il colle dell’agnello

Storie dal territorio: così la pastorizia resiste sulle nostre montagne

Ognuno di noi ricorda sicuramente di aver studiato la Magna Charta Libertatum, quel documento in latino promulgato nel 1215 dal re d’Inghilterra Giovanni Senza Terra, che, con la mediazione dell’arcivescovo di Canterbury Stephen Langton, mise fine a una ribellione, capeggiata dai baroni inglesi, contro uno strapotere del re che in quel periodo tendeva ad essere totale e perciò al di sopra di tutte le leggi. Il documento riconosceva l’inviolabilità dei diritti individuali rispetto a ogni arbitrio di potere, anche se, in effetti, difendeva soltanto i diritti e i privilegi dei nobili e degli alti rappresentanti della Chiesa, escludendo i contadini e gli artigiani, cioè quelli che appartenevano ai ceti inferiori.

Quello che invece pochi ricordano è che una cosa simile successe a due passi dal valico del Cerreto e ben otto anni prima: nel maggio del 1207 con lo Statuto di Vallisnera. Proprio sotto il monte Ventasso si radunarono i Seniores – i signori – di Vallisnera e quelli del Cerreto, per proporre agli Homines, al popolo per intenderci, una bozza di leggi di governo, con l’intenzione di discuterla e modificarla, al fine di arrivare a un documento di comune accordo, che accontentasse gli uni e gli altri, mettendo finalmente fine a scontri e dissapori fra le due classi. Questo importante evento viene rievocato in estate ogni anno nel piccolo borgo del nostro Appennino per sottolinearne l’importanza storica.

Parto così da lontano per ricordare quello che disse una volta Giovanni Lindo Ferretti proprio in occasione di una di quelle rievocazioni: “Ricordare l’accordo – spiegò allora l’ex leader dei Cccp – vuol dire ricordare a tutti che in tempi molto difficili come erano quelli di allora e come sono quelli di oggi, c’è gente che abita la montagna e la mantiene viva. È un messaggio anche a tutte le autorità per dire che chi vive qui non è un costo ma una opportunità. Per tutti”. È vero, in montagna c’è tanta gente che ci abita, ci vive e ci lavora e che lottando e facendo fatica la tiene viva, traendone sicuramente benefici e grandi soddisfazioni. Ed è così anche per quelli che sulle pendici dei nostri monti continuano ad allevare, Parmigiano-Reggiano o no, le pecore.

Continua a leggere tutto l’articolo di Giuseppe Maria Codazzi su La Libertà del 17 luglio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *