Don Borghi pellegrino dell’Assoluto

Il gruppo degli «Amici» ospite della Certosa di Farneta

Ripercorrere l’itinerario di vita di don Pasquino Borghi (1903-1944) ha richiesto al gruppo degli “Amici” – che da tempo riflette su questa straordinaria figura di sacerdote, missionario, monaco, parroco, resistente e martire – di compiere una trasferta nel territorio di Lucca, alla Certosa dello Spirito Santo in località Farneta di Maggiano. Il viaggio è avvenuto lo scorso 15 giugno e tra i partecipanti c’erano i tre nipoti di don Borghi.
La “radicalità spirituale” vissuta dal nostro prete lo portò a immergersi dapprima nell’esperienza missionaria come padre comboniano in Sud Sudan (1930-1937), poi nella severa vita contemplativa, con il nome di frate Pasquale, dal 27 maggio 1938 (ricevette solennemente il bianco abito dei frati il 1° luglio di quell’anno) fin quasi al termine del 1939 (il 24 novembre, con il consenso del vescovo di Reggio, presentò al Papa istanza di dispensa dai voti di religione; la sua famiglia, dopo la morte del padre, versava allora in condizioni economiche molto precarie).

Frate Pasquale ricalcò così, sia pure per un breve periodo, la forma di vita che deve la sua origine a san Bruno di Colonia (circa 1030-1101), canonico e maestro della cattedrale di Reims che – chiamato da Dio ad incamminarsi verso la solitudine per incontrarLo – nel 1084 fondò un monastero strutturato sull’esempio della “laura” orientale nella valle di Chartreuse, una zona pressoché inaccessibile delle Alpi del Delfinato.
Per descrivere quella fase storica non c’è miglior cronista di don Carlo Lindner che nella pubblicazione “I nostri preti”, edita nel 1950, annota: “Rattristato dal mal d’Africa e dal rimpianto delle opere e dei Confratelli lasciati laggiù, (don Pasquino) sentì riaccendersi vigoroso il desiderio di nascondimento e di oblio; volle trovarlo tra le mura della certosa di Farneta dove rimase un anno e mezzo in austera penitenza, occupandosi in umiltà, nelle poche ore libere dall’orazione, in obbedienza ai suoi Superiori, di floricoltura e giardinaggio con eccellenti risultati”.

La Certosa di Farneta fu fondata per volontà testamentaria di Gardo di Bartolomeo Aldibrandi, mercante lucchese emigrato a Venezia; la chiesa conventuale fu consacrata il 14 ottobre 1358. Tra il XVI e il XVII secolo il monastero venne rinnovato e abbellito: nel 1509 si ultimò il chiostro dei monaci e nel 1559 quello dei padri Procuratori; nel 1625 invece fu impreziosito l’altare della chiesa, poi affrescata nel 1693 dal certosino Stefano Cassiani. Con la soppressione del 1806 l’intero complesso venne incamerato nel demanio e venduto a privati, ma nel 1903 i Certosini, espulsi dalla Francia, riacquistarono e ristrutturarono il monastero, trasferendovi la Casa generalizia fino al giugno 1940, quando questa venne riportata in Francia. Con un rescritto apostolico del 3 agosto 1940 la Certosa di Farneta è stata di nuovo eretta come Casa autonoma dell’Ordine.

Continua a leggere l’articolo di Edoardo Tincani su La Libertà del 10 luglio

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