I figli? Sempre adottivi

Camisasca: è necessario far crescere la cultura del dono

L’intervista di «Avvenire» al Vescovo

Profondo sconcerto e timore sta portando a Bibbiano e in tutta la provincia reggiana l’inchiesta “Angeli e Demoni”, coordinata dal sostituto procuratore di Reggio Valentina Salvi e avente per oggetto la rete dei servizi sociali dei Comuni dell’Unione Val d’Enza per un presunto “business” di affidi illeciti, con ipotesi di reato gravissime e ramificazioni che si estendono al Centro “Hansel e Gretel” di Moncalieri (Torino). Decine le persone indagate e le ordinanze di custodia cautelare eseguite nei confronti di politici, medici, assistenti sociali e liberi professionisti. La Libertà propone di seguito l’intervista al vescovo Massimo realizzata nei giorni scorsi da Avvenire.

Questo caso rischia di confermare un sospetto che da tempo aleggia: esiste in alcuni settori delle istituzioni pubbliche una cultura anti-famiglia che vorrebbe sempre e comunque colpevolizzare l’operato dei genitori. Qualcuno ha puntato il dito contro una certa ideologia statalista ancora egemone in certi ambiti delle amministrazioni locali. Altri hanno fatto notare che alcune presunte responsabili dei fatti sarebbero state mosse dalla cosiddetta cultura Lgbt. Monsignor Camisasca, qual è la sua opinione?
Per quanto riguarda l’inchiesta giudiziaria sui casi dei bambini sottratti alle famiglie della Val d’Enza e sulle accuse di abuso ai loro genitori mi rimetto completamente alla magistratura, di cui ho fiducia. Dobbiamo tra l’altro al suo lavoro investigativo l’emergere di questi fatti. Venendo alla domanda non posso che rispondere affermativamente. Salvo restando le responsabilità dei singoli, oggi esiste una cultura molto invadente che vede nella famiglia (padre, madre e figli) un luogo potenzialmente oppressivo e perciò da colpire. Per “salvare” un bambino occorre fare di tutto per “salvare” la sua famiglia. Essa è la custode di diritti e doveri primari che nessuno stato può “normalmente” avocare a sé. Indebolendo la famiglia si indeboliscono tutte le forme di aggregazione sociale in un paese. La cultura Lgbt purtroppo, in taluni casi, partecipa di questo attacco alla famiglia, che vede come una contraddizione ai diritti dei singoli. Una famiglia vera invece custodisce i diritti di tutti e i doveri di tutti qualunque siano gli orientamenti religiosi, culturali e sessuali dei propri figli.

Fermo restando che in alcuni casi l’allontanamento di un minore può rendersi necessario e urgente, non sarebbe sempre meglio cercare di aiutare la famiglia d’origine nel suo primario compito educativo senza arrivare a scelte così traumatiche?
Ho già accennato sopra quale è il mio pensiero a questo riguardo. È indubbio che oggi esistano delle famiglie debolissime e dei ragazzi perciò che difficilmente potrebbero trovare in esse l’ambito della loro crescita. Penso a famiglie in cui i genitori sono tossicodipendenti, in cui la madre è stata abbandonata, in cui esiste una povertà materiale ed educativa molto radicata, in cui esiste una forte esperienza delittuosa… Non sono perciò assolutamente contrario all’affido, alle case famiglia. Conosco decine e decine di esperienze positive che devono essere custodite e sostenute dallo stato. Questo non vuol dire che i figli debbano essere comunque tolti alla famiglia. Molto dipende dalla statura morale e professionale degli operatori sociali e degli psicologi.

Dall’inchiesta emerge anche un altro fatto drammatico, il numero elevato di famiglie disgregate e in difficoltà. Questa situazione non interpella anche le nostre comunità? Abbiamo fatto abbastanza per stare vicino a queste famiglie?
No, penso che non si sia fatto abbastanza, forse non si farà mai abbastanza. La nostra carità però deve vivere una conversione. Come ci indica il Papa dobbiamo imparare a condividere la vita delle persone in difficoltà. Se ogni credente dedicasse anche un’ora soltanto alla settimana per stare con una persona, tornando da lei con frequenza, un poco dell’immenso mare della solitudine e della povertà spirituale troverebbe una strada di cambiamento sia per chi è in difficoltà sia per chi offre un poco del suo tempo. Ho imparato tutto questo da don Giussani vivendo l’esperienza della Bassa agli inizi degli anni 60.

Leggi tutto l’articolo di Luciano Moia su La Libertà del 10 luglio

La casa (sotto indagine) «La Cura» di Bibbiano

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