Siria, la guerra dei «frame»

La voce libera del giornalista presidente di «SOS Cristiani d’Oriente»

Giovedì 23 maggio il Circolo culturale “Maritain” di San Martino in Rio ha avuto l’onore di ospitare Sebastiano Caputo, il relatore più giovane negli oltre 20 anni di attività del circolo.
A soli 27 anni Sebastiano Caputo è presidente della fondazione “SOS Cristiani d’Oriente” ed è ideatore della rivista di agitazione culturale “L’Intellettuale Dissidente” di cui è direttore.
Studioso di arabo, ha realizzato reportage in Russia, Ucraina, Siria, Iraq, Libano, Palestina, Iran, Egitto, Tunisia, Marocco e Afghanistan. È inoltre autore dei libri “Alle porte di Damasco. Viaggio nella Siria che resiste” e “Mezzaluna sciita. Dalla lotta al terrorismo alla difesa dei cristiani d’oriente”.
Essendo una voce fuori dal coro, con una grande esperienza fatta sul campo, vi proponiamo di seguito un suo breve articolo sulla situazione siriana e su come l’uso di informazioni non verificate, può portare ad un’opinione pubblica falsata.

Non conta solo quanti soldati schieri sul campo, se le tue armi sono altamente sofisticate per la battaglia, se i tuoi alleati ti tradiranno durante le operazioni militari, se la raffica del kalashnikov colpirà o meno il nemico. La guerra, prima ancora che nelle steppe fangose, nei deserti aridi, o dentro le trincee scavate nel sottosuolo, si combatte, oggi, nel salotto di casa dell’uomo medio. A colpi di immagini, simboli, hashtag, slogan. Quella che Edward Barnays in Propaganda definiva “l’ingegneria del consenso” passa de facto attraverso un’informazione parziale dei fatti che il più delle volte sconfina con la disinformazione vera e propria.
E se in guerra la prima a morire è sempre la verità allora è la menzogna a riempire quel grande vuoto narrativo. Horror vacui scriveva Aristotele. Vale per la filosofia e la fisica esattamente come nel giornalismo.

Il cittadino comune, ovvero lo spettatore, che accende in maniera distratta il televisore o il computer è stato per anni bombardato da notizie scollegate fra loro e confezionate dentro un frame, cioè una cornice, dal quale è stato impossibile sfuggire. Nella maggior parte dei casi si mostrano le conseguenze, tragiche, della guerra, senza spiegarne le cause profonde, i rapporti di forza, le alleanze sotto banco, il contesto geopolitico.
I fatti sono stati venduti dagli spin doctor al pari di un pubblicitario che piazza un prodotto commerciale nel mercato, e in modo più raffinato sono stati costruiti dei recinti semantici per cui se ne uscivi, descrivendo una realtà alternativa, diventavi automaticamente, per riflesso, “un sostenitore del regime”.

I tre grandi “frame” della guerra in Siria sono stati i seguenti: “il dittatore sanguinario Bashar al Assad”, “i ribelli moderati” e infine “la guerra civile siriana”. Andiamo per ordine. Col presunto autocrate non avevamo mai avuto problemi prima dello scoppio della guerra, addirittura, lo osannavamo come fu il caso dell’ex presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano il quale si recò a Damasco in visita ufficiale nella primavera del 2010. Poi quando era cambiata la musica internazionale, dettata dai “nostri alleati”, abbiamo fatto una giravolta ed è stato cambiato lo spartito.

Si pensava che il clan alawita sarebbe stato liquidato in poco tempo e invece così non è stato perché a differenza di quanto è stato raccontato il sostegno della popolazione è stato di carattere interclassista (ceti popolari e borghesia), interconfessionale (dalla sua parte c’erano sunniti, sciiti e cristiani) e militare (c’è stata una risposta dei volontari e poche diserzioni nei ranghi dei generali). Poi per quanto riguarda la natura “moderata” della ribellione, anche lì, velocemente si è trasformata in una lotta armata, e paradossalmente, dopo la nascita dello Stato Islamico nel giugno del 2014 la Siria è diventata la prima linea della lotta globale al terrorismo.

Continua a leggere tutto l’articolo di Sebastiano Caputo su La Libertà del 12 giugno

Sebastiano Caputo

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