Cala il numero dei cristiani in Cisgiordania

Lo afferma l’Agenzia Fides in una corrispondenza da Ramallah di mercoledì 12 giugno.

Nella città araba di Jenin, 26 km a nord di Nablus, su 70mila abitanti i cristiani sono soltanto 130, quasi tutti cattolici di rito latino. A Tubas, altra cittadina araba della Cisgiordania settentrionale, gli abitanti sono 40mila, e i cristiani sono solo 45, appartenenti alla Chiesa greco ortodossa; a Burqin, villaggio palestinese non lontano da Jenin, i cristiani sono meno di 70, su una popolazione di 7500 abitanti; anche le comunità di battezzati presenti nei centri abitati di Jalameh e Kafr Koud sono composte da poche decine di persone. Mentre nel villaggio di Deir Ghazaleh, fino a 10 anni fa abitato da una consistente minoranza cristiana, adesso i battezzati sono solo 4 su 1200 abitanti. 
Il fenomeno della diminuzione della popolazione cristiana in ampi territori della Cisgiordania sottoposti all’Autorità palestinese emerge in termini oggettivamente impressionanti nei numeri esposti in un breve contributo firmato da Hanna Issa, membro del Consiglio di Fatah e Segretario generale del Consiglio islamo-cristiano palestinese per Gerusalemme e i Luoghi Santi.

Nel testo, rilanciato anche dal website abouna.org, Hanna Issa chiama in causa i “fattori politici e economici” all’origine dei flussi migratori che stanno riducendo al minimo la presenza cristiana in Cisgiordania. 
Il progetto nazionale palestinese – rimarca l’esponente di al Fatah – si fonda sul riconoscimento della piena uguaglianza tra cittadini di religioni diverse, ma l’instabilità politica si traduce in instabilità sociale e economica. Per questo – conclude Hanna Issa – occorre preservare l’identità araba palestinese di fronte a tutte i condizionamenti che possono generare situazioni di discriminazione nella società palestinese e di emarginazione della sua componente cristiana. 

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