SCIE CHIMICHE, tracce di scienza nella vita quotidiana

batteri

Da quando sono stati scoperti e soprattutto osservati per la prima volta, i batteri sono sempre stati percepiti come fonte di pericolo per l’uomo.
E non a torto: la putrefazione del cibo, la morte causata da malattie trasmesse da nemici invisibili e spesso invincibili non ha fatto una grande pubblicità a questi microscopici esseri viventi lungo i secoli.
E oggi che abbiamo un’ampia gamma di prodotti battericidi a nostra disposizione, via che ci disinfettiamo, ci puliamo e cerchiamo con tutte le forze chimiche e biologiche di distruggere questi pericolosi esserini che sembrano continuamente minacciare il nostro sistema immunitario.
Con la crescente germofobia degli ultimi anni, ogni microorganismo è visto con sospetto e tenuto a distanza per evitare malattie. Ma è davvero così?

Se guardiamo al mondo industrializzato di oggi, le principali cause di morte non sono legate ai batteri patogeni, cioè che causano malattie (che rappresentano tra l’altro la minoranza tra i batteri che ci circondano) ma riguardano malattie soprattutto cardio-vascolari e tumori.
Ogni materia vivente porta su di sé dei microorganismi che, se lasciati a se stessi, si nutrono, si riproducono e decompongono la materia organica fino a dissolverla completamente.
Lo vediamo bene quando ci si scorda qualche alimento negli antri del frigo, o con i limoni vecchi che si ricoprono di muffa e le mele che diventano marroni se non vengono mangiate.
Non solo morte e distruzione, però… ricordiamo che, per la serie “hanno fatto anche cose buone”, i batteri sono alla base della produzione di un numero incredibilmente alto di alimenti: basta pensare al pane, ma pure il vino, la birra, i formaggi, l’aceto, lo yogurt e tanto altro.
Circa due terzi delle cose che noi mangiamo sono frutto di fermentazioni controllate, che forniscono il vantaggio di conservare più a lungo gli alimenti, rendendoli più digeribili e più saporiti e nutrienti.

Leggi tutto l’articolo di Iaia Oleari nella rubrica Scie Chimiche su La Libertà del 29 maggio

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