Gasparo Scaruffi a 500 anni dalla nascita e il primo (tentato) euro

La zecca reggiana

Gasparo Scaruffi nasceva a Reggio il 17 maggio 1519 da una ricca famiglia di mercanti e cambiatori, ultimo di sette fratelli. A Reggio era allora attiva la zecca, che era stata voluta dal vescovo Nicolò Maltraversi.
Egli aveva ottenuto la sua apertura nel 1233 dall’Imperatore Federico II. La zecca sospese la sua attività dal 1312 e, tranne per una parentesi nel 1327, rimase inattiva fino al 1477, quando cominciò a coniare le monete con il volto del duca d’Este. Nel 1573 il duca Alfonso II, geloso della nostra autonomia, la chiudeva con un pretesto.

Nel primo periodo dell’attività della zecca vennero coniati due tipi di monete: il piccolo ed il grosso. La prima era fatta di una miscela di metalli tra cui l’argento, la seconda di solo argento. Il valore della seconda era 12 volte quello della prima. Il grosso e il piccolo avevano da una parte la scritta episcopus, sull’altra il disegno di un giglio con la scritta Regium.

Arriva l’inflazione in Europa

Lo Scaruffi mostrò fino dall’età di 25 anni l’interesse per i problemi monetari. Nel 1547 era diventato saggiatore della zecca reggiana: egli controllava le monete battute dalla zecca. Ma ecco arrivare l’inflazione in Europa per le forti importazioni d’oro e d’argento dalle colonie americane della Spagna. Il duca d’Este volle fissare il valore delle monete, la città i prezzi della merce, gli imprenditori i salari. Ma la moneta continuava a perdere di valore e i prezzi continuavano a salire.

Nel 1550 Mantova e Parma rivalutano la moneta di Bologna a spese di quella di Reggio. Il banchiere e saggiatore della zecca Scaruffi, allora solo trentenne, inviato assieme all’orefice di Correggio Paolo sia a Mantova che a Parma, ottiene la rivalutazione della moneta reggiana.
Nel 1552 tiene per un anno l’appalto della zecca reggiana. Nel 1555 viene chiamato a controllare le monete che entrano in città. Nel 1560 è eletto nel Consiglio comunale e nel 1564 diventa tesoriere del Comune. Ma nel 1566 il suo banco viene accusato di bancarotta. Egli è arrestato e portato a Ferrara dove poté dimostrare che si era trattato di una crisi di liquidità, perché i depositi erano stati investiti a media e a lunga scadenza. Accordatosi con i creditori, che onorò poi integralmente, uscì dal carcere dove era stato per 4 mesi.

Leggi il testo completo dell’articolo di Daniele Rivolti su La Libertà del 27 marzo

 

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