Oratorio, Sport, Educazione

Appunti dall’intervento del Vescovo all’incontro con il CSI

Come riportato la scorsa settimana (si veda La Libertà del 13 marzo, pagina 14), il vescovo Massimo è intervenuto sabato 2 marzo presso l’Oratorio Don Bosco di Reggio all’assemblea promossa dal Centro Sportivo Italiano alla presenza di dirigenti, educatori e sacerdoti. In quella circostanza monsignor Camisasca ha parlato a braccio, partendo da una scaletta.
Pubblichiamo di seguito, in forma di appunti, una nostra sintesi dell’intervento del Vescovo.
Le sottolineature nel testo sono redazionali.

Buongiorno a tutti,
sono sinceramente felice di essere qui e d’incontrarvi. Ringrazio coloro che sono intervenuti prima di me, il Presidente Bosio e don Albertini, e tutti voi che avete pensato ed organizzato l’evento di oggi, nel contesto più ampio della formazione per i dirigenti e gli allenatori del CSI.
Il CSI ha fatto tanto per la storia sportiva del nostro Paese e ha dato un grande contributo a molte realtà significative, che rimangono nella storia dello sport e anche dell’educazione. Stabilire un nesso tra educazione e sport è un obiettivo che il CSI ha vissuto fin dalla sua origine, in un impeto positivo che proveniva dalla tradizione cristiana.
Il mio intervento intreccerà note storiche con note pedagogiche. Cercherò anche di offrire indicazioni per la nostra Chiesa.
Il progetto di don Bosco è nato nell’impeto della carità, che lo ha portato ad accorgersi della presenza dei ragazzi abbandonati. Tale impeto lo ha spinto a raccogliere la sfida di fare qualcosa per loro e con loro. È facile costruire un itinerario educativo per dei ragazzi “normali” o “normalizzati”. Più difficile, invece, è costruire un itinerario per i cosiddetti “ragazzi difficili”. Eppure dobbiamo tenere presente che l’educazione è sempre difficile, ed è sempre rischiosa. Non è forse vero che la bellezza della sfida educativa sta proprio nel non avere davanti persone già fatte, borghesemente “sistemate”, ma persone da accompagnare nella loro crescita? E il rischio dell’atto educativo non risiede nel fatto che queste giovani vite potrebbero rovinarsi o distruggersi (e in parte forse lo hanno già fatto) se non incontrassero delle persone più grandi, che le aiutino a scoprire chi esse sono, quale sia il tesoro nascosto dentro di loro? I ragazzi sono chiamati a camminare su una strada che viene loro proposta dall’educatore. Ma questa strada essi non la conoscono prima di percorrerla, è un mistero a loro sconosciuto, in cui entrare passo dopo passo.

La nostra proposta deve rivolgersi a tutti: perché non ci sono quelli “chiamati al catechismo” e quelli “chiamati allo sport”, non ci sono i “buoni” e i “cattivi”, ma ci sono le persone, i ragazzi! La proposta di don Bosco e dell’Oratorio nasceva da una visione integrale non solo della persona, ma anche della fede. Per questo ha pensato che occorresse un luogo in cui questi ragazzi potessero essere accolti ed incontrare una possibilità di sviluppo di tutti gli aspetti della loro personalità.
Nella nostra storia recente abbiamo perso questa unità di sguardo sulla persona? Prima della seconda guerra mondiale, la “società cristiana” trasmetteva quasi per osmosi gli elementi più profondi della vita religiosa. Poi, con la fine della seconda guerra mondiale e con la frammentazione dell’uomo europeo, tutto viene rimesso in discussione.

Il CSI nasce nel periodo in cui l’Azione Cattolica, alla fine della guerra, progetta di poter interessarsi di tutti gli spazi della vita umana, perdendone però forse l’unità. C’era la grande alternativa comunista, c’era il rischio che l’Italia andasse sotto l’ala di Mosca. L’Azione Cattolica, presieduta dall’onorevole Gedda, pensava quindi di realizzare un progetto organizzativo, oltre che educativo, e in questo progetto era compreso il CSI. Oggi penso vada ripensato daccapo. Non bisogna partire da una visione della vita frammentata, ma da una visione unitaria della persona. Ciò non significa che non ci debbano essere le specializzazioni (chi si occupa del catechismo, chi dello sport, chi della liturgia eccetera), ma essi devono ricondursi ad un cuore unico. Nel campo dell’educazione e della persona abbiamo speso decenni a discutere del “come”, ma non sappiamo più niente del “chi”.

Don Bosco (e tutti quelli che come lui hanno generato l’Oratorio) ha capito che doveva occuparsi di tutte le dimensioni della persona e ha capito, come prete e come educatore, che Cristo non esiliava questi ragazzi dalla vita, e che dunque doveva proporre loro la sequela di Cristo non a lato delle loro attese, ma dentro di esse. Cristo non ci incontra attraverso una serie di “no”, ma attraverso una serie di “sì”: sì al catechismo, sì al gioco, sì al divertimento, sì allo sport, sì alla preghiera, sì al teatro, sì alla musica. Sono livelli diversi, ma non alternativi o in contrasto tra loro, sono livelli di un unico percorso. 

Continua a leggere il testo integrale dell’intervento del vescovo Camisasca su La Libertà del 20 marzo

 

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