Riflessioni teologiche tra Islam e Cristianesimo: l’ELEMOSINA

Dopo il Credo e la Preghiera, il terzo pilastro dell’Islam in ordine di importanza è l’Elemosina. Sia nell’Islam che nell’Ebraismo, si parla poco di Carità. Infatti questa è una gloria del Cristianesimo, in base alla quale saremo giudicati. Per il cristiano, l’elemosina è solo una parte della carità che, non a caso, si chiama cristiana. Carità può essere anche una buona parola, un insegnamento, la visita ad un ammalato, una buona azione, una preghiera di suffragio per un’anima o per un ammalato.

Vediamo come l’Islam classifica ed effettua l’elemosina. Questa può essere rituale (Zakat) oppure spontanea o volontaria (Sadaqa). Per il musulmano, l’elemosina ha un doppio effetto: di purificazione dei propri beni e di purificazione personale, al punto che viene equiparata alla preghiera, come l’adempimento di un principio di fede.
La radice del termine arabo Zakat ci rimanda da una parte al significato di “purificare, mondare”, e dall’altra a quello di “accrescere”, “far prosperare”. è quindi una decurtazione dei beni posseduti che li purifica dalla loro valenza negativa e, allo stesso tempo, è di buon auspicio per il loro futuro accrescimento (Sura 9-versetto 103).

Il verbo usato dal Corano per la dispensazione dei beni è “anfaqa”, che significa sì “spendere” ma il cui remoto significato è “morire, cancellare”, quasi a paragonare l’elemosina ad un sacrificio rituale. L’offerta rituale è pubblica e regolata dalla legge, con precisi parametri, mentre il Corano (Sura 2-versetto 271) comanda di non ostentare quella privata. L’elemosina diventa in tal modo un bene per il donatore stesso, in quanto essa insegna a porre un freno all’avarizia ed alla cupidigia, ispirate da Satana (Sura 2-versetto 268).
L’Islam considera un’abbiezione l’usura (Sura 30-versetto 39).
La carità, nel senso cristiano del termine, viene equiparata all’elemosina fatta con il cuore, infatti si legge: “Una parola gentile e di perdono è meglio di un’elemosina seguita da offesa. O voi che credete, non rovinate le vostre elemosine rinfacciandole e offendendo” (Sura 2-versetti 263 e 264).

I proventi dell’offerta rituale vengono distribuiti con questo criterio: ai poveri, ai miseri, agli esattori che raccolgono la tassa per conto della comunità, per il riscatto degli schiavi e dei debitori, per i viandanti, per le opere di culto e di diffusione della religione (Sura 9-versetto 60). Naturalmente a questi destinatari si aggiungono gli oneri per il funzionamento dello Stato e dei servizi pubblici.
Per quanto riguarda le percentuali di versamento, vi è disparità fra i vari paesi islamici, ma generalmente variano dal 5% al 10%, con aliquote proporzionali al capitale o al reddito.

Agli esattori dell’elemosina rituale la legge raccomanda un comportamento rispettoso ma fermo. Non devono vessare le persone, ma allo stesso tempo sono tenuti ad usare ogni mezzo per convincere i più riottosi a versare le quote stabilite. Viene destinata una quota delle elemosine per aiutare quelle persone “di cui si deve conciliare il cuore”, cioè i neo convertiti o coloro che con un aiuto finanziario potrebbero convincersi a tale passo. Una quota spetta anche a quei mezzi di comunicazione di massa considerati utili nel rafforzare l’immagine dell’Islam. Naturalmente questi fondi servono anche ad edificare nuovi luoghi di culto in Paesi stranieri e a sostenere le relative organizzazioni islamiche all’estero.

Continua a leggere l’intero articolo a firma Alfredo su La Libertà del 13 marzo

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