In campagna, nei silenzi dell’inverno

Dai campi ricoperti da una spessa coltre di neve non giungeva alcun segno di vita, non un cinguettio, non un richiamo, non una voce, non un lamento; stretta nel gelo la natura, nelle sue molteplici forme, non rilasciava alcun suono. Per oltre due mesi se ne stava completamente muta, il silenzio scendeva anche dal cielo: non lampi, non tuoni né pioggia battente, ma soffici batuffoli bianchi che si posavano a terra leggeri, quasi non volessero toccarla. Perfino il vento taceva, nascosto in chissà quale angolo degli spazi infiniti, così le fronde degli alberi se ne stavano immobili con le dita puntate verso un cielo assopito, come un mare dopo la tempesta.

Le stesse grandi case coloniche, così ricche di vita durante tutto il resto dell’anno, fin dai primi giorni di dicembre, sembravano piombare in una sorta di sonnolenza interrotta, soltanto parzialmente nel periodo delle feste natalizie, dalle esclamazioni di meraviglia dei bambini e, nel giorno dell’uccisione del maiale, dall’alto vociare del norcino e dei suoi aiutanti.
Le strade, già poco frequentate per i restanti mesi dell’anno da carrettieri ambulanti e rarissimi piccoli automezzi, in quel periodo completamente ricoperte di neve e ghiaccio, apparivano deserte. Nel percorrere a piedi il lungo tragitto che portava a scuola, l’unico rumore che si sentiva era lo scrocchiare della neve ghiacciata sotto le suole borchiate degli zoccoli di legno.

Leggi tutto l’articolo di Giuliano Lusetti su La Libertà del 6 febbraio

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