In Kenya con gioia missionaria

Camisasca ha visitato la Fraternità san Carlo a Nairobi

Non ci sono parole che possano descrivere adeguatamente la gratitudine per la vista di monsignor Camisasca alla nostra missione nella capitale del Kenya, da lui stesso fondata più di vent’anni fa.
All’inizio, furono mandati qui due sacerdoti: uno ha creato una “training school”, una sorta di scuola professionale; l’altro insegnava nel seminario diocesano e in altri istituti. Poi si è aggiunto un terzo prete, quando l’allora arcivescovo di Nairobi cardinal Otunga ha chiesto a monsignor Camisasca, fondatore della Fraternità san Carlo, che la nostra comunità si prendesse carico di una parrocchia.
Era il 1998.
Negli ultimi vent’anni, qualche prete è arrivato e qualcuno se n’è andato.
Adesso siamo in sei: don Valerio, don Alfonso, don Giuliano, don Gabriele, don Mattia ed io, don Luca.
Viviamo in una bella casa accanto alla chiesa parrocchiale, nella periferia di Nairobi. Il quartiere ha un nome Swahili: Kahawa Sukari, che significa caffè e zucchero. Fino a pochi anni fa, infatti, questa zona era tutta una grande piantagione. Ora ci sono case e palazzi, grigi testimoni del colossale movimento dalla savana alla città che ha caratterizzato l’Est Africa degli ultimi tempi. Questo elemento non è secondario per la nostra missione. Molti dei nostri parrocchiani sono nati in case di fango sperdute chissà dove, cresciuti correndo scalzi tra gli spazi immensi di questa bella terra, come i loro genitori, i loro nonni, e i nonni dei loro nonni. Ora si trovano a vivere nella periferia di una grande città, si spostano in auto o in motocicletta, con lo smartphone in tasca e le scarpe da ginnastica ai piedi.

Da qui tante sfide, soprattutto la ricerca del proprio posto in un mondo che non si conosce più, dove il sistema tribale sta venendo meno e sembra che l’unico modo per emergere sia il successo, scolastico per i più piccoli, lavorativo ed economico per gli adulti.
Di fronte a tutto questo, cosa possiamo dire? Cosa possiamo fare? Ripetiamo ciò che abbiamo imparato da monsignor Camisasca, che in fondo è la ragione per cui abbiamo deciso di dare la nostra vita a Gesù: siamo stati amati da un Amore eterno, che ci ha voluti, ci ha creati, e dà consistenza al nostro essere. Un Amore più grande del nostro male. Un Amore che scalda il cuore e lo riempie di gioia.

Continua a leggere tutto l’articolo di Luca Montini su La Libertà del 23 gennaio

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