Diverse visioni di Chiesa lungo la storia

Di solito si pensa che la Chiesa abbia avuto di sé un’immagine stabile fin dai suoi esordi e che solo le “novità” del Concilio Vaticano II l’abbiano rivoluzionata, cosicché sia chi denigra che chi esalta questa svolta finisce per dimenticare che le cose sono più complesse e che anzi i punti salienti della visione di Chiesa del Vaticano II di fatto sono consistiti in un recupero di aspetti della Chiesa dei primi secoli, poi messi in ombra nei secoli successivi. Può essere quindi utile ripercorrere, pur velocemente, i cambiamenti nell’idea di Chiesa che si sono avuti nella storia.

La comunione tra Chiese nell’età dei Padri

Nei primi secoli l’idea di Chiesa non è oggetto di particolari riflessioni, essendo percepita ancora come spazio vitale della fede, un mistero su cui meditare mediante una serie di immagini di origine biblica: è il Corpo di Cristo, il Gregge di Dio, il Banchetto dei tempi ultimi, la Rete che raccoglie persone di tutti i tipi, la Barca di Pietro guidata da Cristo, la Sposa di Cristo, la Luna che risplende ricevendo la luce da quel Sole che è Cristo, la Vergine Madre che genera Cristo accogliendo la Parola, l’Albero radicato in Cristo che dà frutti copiosi.

Centrale è l’idea di una comunione di Chiese, che si manifesta nella comune professione di fede, nella partecipazione agli stessi sacramenti e nel legame visibile al Corpo di Cristo, mediante la comunione con il proprio vescovo e dei vescovi tra loro. La forma percepibile di tale comunione è l’Eucaristia di una comunità locale, che celebra con il proprio vescovo, attorniato dal collegio dei presbiteri e dai diaconi.

La centralità del papa nella Chiesa medievale

L’idea di Chiesa dell’Alto Medioevo rimane nei binari dell’epoca patristica, ma in un contesto molto mutato: lo sfascio delle strutture civili spinge i vescovi ad assumere un ruolo politico e militare, mentre la vita ecclesiale delle campagne allenta i suoi legami con il vescovo cittadino e fa riferimento a monasteri, pievi e cappelle private, dove clero e monaci sono sempre più legati a logiche feudali.

Nell’XI secolo la riforma di Gregorio VII intende difendere le libertà della Chiesa contro il sistema feudale, anche a costo di scontrarsi con l’imperatore: essa ha il merito di dar maggiore libertà d’azione alla Chiesa, ma conduce ad alcuni mutamenti. Anzitutto, nella preoccupazione di evitare intromissioni dei poteri civili, accentua la divaricazione tra chierici e laici, con l’idea che in fondo solo il clero sia davvero Chiesa. Inoltre, poiché la compagine civile ha una propria struttura giuridica, la Chiesa ne sviluppa una parallela, mettendo così in primo piano l’aspetto giuridico. A livello liturgico si estende la tendenza, già iniziata con la riforma carolingia del IX secolo, a imporre ovunque la liturgia romana, a scapito di antiche liturgie locali. Il vescovo di Roma diviene sempre rilevante, fino all’apice del Dictatus Papae, dove il papa giudica tutti e non può essere giudicato da nessuno. La pretesa giunge alle estreme conseguenze con Bonifacio VIII, che descrive l’imperatore come delegato del papa e dichiara che la sottomissione al papa è condizione per ottenere la salvezza. Queste controversie con il potere civile danno vita ai primi trattati sulla Chiesa, che non partono dalla visione di fede ma da aspetti giuridici, per cercare di dimostrare chi nella Chiesa abbia ricevuto da Cristo il potere supremo.

Il legame strettissimo tra Regno di Dio, Chiesa e Chiesa Romana comincia poi per reazione a dar vita a ricorrenti crisi spiritualiste, accomunate da alcune rivendicazioni: contestazione dell’istituzione in nome di una Chiesa spirituale, abbattimento della separazione tra clero e laici, opposizione tra Chiesa come istituzione e Vangelo come realtà spirituale. E davanti a tali questioni si invoca sempre più spesso un Concilio ecumenico, anche contro il papa.

Continua a leggere l’articolo di Daniele Moretti su La Libertà del 19 dicembre

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