La gioia di vivere? In Gesù

In chiesa l’appassionante testimonianza di Gianna Jessen

Ogni volta ascoltarla è un’iniezione di fiducia. Fiducia nell’onnipotenza di Dio e, come conseguenza, nelle limitate capacità dell’uomo. È così anche nel dopocena di venerdì 7 dicembre nella chiesa parrocchiale del Sacro Cuore, dove affluiscono circa 350 persone per lei, Gianna Jessen, “la bambina che non doveva nascere”, com’è scritto nei manifesti che la annunciano.
La testimonial pro life arriva con l’inseparabile Angie, alias Angela Mainini, la spigliata interprete che traduce le sue parole conservandone la grinta, impressionante, e il calore nativo.

Se anche Reggio Emilia ha potuto inserirsi tra le tappe del tour italiano, dopo Pavia, Varese, Milano e Lucca, il merito va a un gruppo di volontari affiatati dell’unità pastorale guidata da don Davide Poletti, e in particolare a Marco Pavarini di Rivalta, coordinatore di una macchina organizzativa che ha previsto anche l’approntamento dei parcheggi, la registrazione audiovisiva dell’incontro e l’arruolamento di un gruppo di giovani, con pettorina fluorescente, disponibili a girare tra i banchi della chiesa per distribuire carta e penna e raccogliere le domande del pubblico; alla fine della serata sul tavolino sistemato sul presbiterio verrà recapitato un cestino pieno fino all’orlo di foglietti con quesiti in inglese e in italiano, solo alcuni dei quali potranno essere letti alla donna americana.

Anche perché il vero, atteso epilogo dell’iniziativa sarà il momento del saluto personale, allorché decine di partecipanti, molti anche i giovani dai gruppi di catechismo, si mettono diligentemente in fila per una stretta di mano, un autografo o un selfie, spesso per dire a questo “miracolo vivente” una parola che quasi sempre comincia con un “grazie” sgorgato spontaneo dal cuore.
Qualche lettore ricorderà la precedente venuta in diocesi di Gianna Jessen: era il 21 settembre 2012 e l’evento si era svolto in piazza a Campagnola, dove l’allora parroco don Carlo Sacchetti aveva imbastito un contraddittorio fra l’esperienza dell’ospite statunitense e la “Lettera a un bambino mai nato” di Oriana Fallaci.
Pure il quell’occasione, il ricordo è nitido, al termine della testimonianza una folla di persone aveva cinto d’assedio il palco, come a volere toccare con mano qualcuno che esiste – e dà lode al Signore – a dispetto di una volontà avversa che, in modo straordinario, non trovò applicazione in una clinica californiana una mattina di quarantuno anni fa.

Sì, nella serata del Sacro Cuore si parla anche di aborto, tema sempre doloroso e divisivo. In apertura leggo un breve passo: “Come può essere terapeutico, civile, o semplicemente umano un atto che sopprime la vita innocente e inerme nel suo sbocciare? È giusto ‘fare fuori’ una vita umana per risolvere un problema? È giusto affittare un sicario per risolvere un problema?”. Sono parole di Papa Francesco, pronunciate il 10 ottobre scorso nella catechesi del mercoledì dedicata alla “Quinta Parola”, Non uccidere.
Nessuno però stasera, a cominciare da Gianna, vuole puntare il dito contro qualcun altro. Ma chiamare le cose con il loro nome è il primo atto di giustizia non solo nei confronti degli abortisti, ma anche di chi, in nome della scienza, vuole arrogarsi il diritto insindacabile di giudicare la qualità della vita già nata, come hanno mostrato al mondo i recenti casi rimbalzati dal Regno Unito: Charlie Gard nel 2017 a Londra, Alfie Evans quest’anno a Liverpool.

Continua a leggere l’articolo di Edoardo Tincani su La Libertà del 19 dicembre

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