Chiese dismesse, gestione integrata

Quattro esperienze virtuose tra cultura, dialogo e bellezza

I beni ecclesiastici svolgono un compito importante per l’evangelizzazione e, oltre la semplice appartenenza giuridica, rimandano alla comunità che li ha creati, conservati e ne è il naturale destinatario. Lo ha ricordato don Valerio Pennasso, direttore Ufficio nazionale per i Beni culturali ecclesiastici e gli edifici di culto della Conferenza episcopale italiana, nella giornata conclusiva del convegno internazionale “Dio non abita più qui? Dismissione dei luoghi di culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici”, promosso il 29 e 30 novembre da Pontificio Consiglio della cultura, Cei e Pontificia Università Gregoriana che lo ha inoltre ospitato.

Pertanto, se la dismissione di chiese (e il loro riuso non sempre “compatibile”) è in molti Paesi occidentali un fenomeno in crescita, la gestione integrata di questi beni può valorizzarli come “asset” per la pastorale diocesana. In attesa della pubblicazione, da parte del Pontificio Consiglio della cultura, delle linee guida “La dismissione e il riuso ecclesiale di chiese” – cinque capitoli e raccomandazioni finali – approvate a conclusione del convegno dai delegati delle Conferenze episcopali, ecco alcune buone pratiche attuate in altrettante diocesi.

Il museo diocesanodi Padova
Istituito nel 1973, in occasione del Giubileo del 2000 il museo diocesano di Padova (foto) ha visto progetti di valorizzazione del patrimonio anche attraverso l’arte contemporanea e oggi, spiega il direttore Andrea Nante, “è una realtà culturale in dialogo con il mondo e raggiunge un target diversificato”. Ma la centralità della persona, avverte, è “condizione primaria”. In questo modo, oltre a luogo di conservazione ed esposizione, il museo è realmente “dimora della collettività, luogo di incontro e di ascolto”. Frutto di una sinergia pubblico-privato fra università e uffici e servizi pastorali diocesani, “è la prassi ad accompagnare la progettazione delle iniziative con le quali siamo riusciti a raggiungere anche i più lontani e ad entrare in situazioni di disagio”, spiega il direttore.

Continua a leggere l’articolo di Giovanna Pasqualin Traversa su La Libertà del 12 dicembre



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