Il canto della siepe

Dopo tre giorni di forti gelate, nei quali di primo mattino la siepe appariva come pietrificata, il cielo si fece grigio e nevicò; all’inizio una neve fine e leggera che ben presto si trasformò in una bufera bianca. Gli alti cespi dell’erba rinsecchita si piegavano su se stessi, mentre i rami più esili dei cespugli si incurvavano lentamente verso il suolo tappezzato di foglie in decomposizione. La nevicata continuò senza interruzioni per tutta la giornata; a sera, quando il manto nevoso aveva raggiunto lo spessore di oltre venti centimetri, cessò improvvisamente ed una vampata rossa del sole morente comparve sulla gobba delle colline oltre il fiume.

Con il terreno ricoperto di neve era possibile verificare la presenza di mammiferi predatori lungo la siepe osservando le orme lasciate durante le loro scorribande notturne, che non facevano mai nella prima notte successiva ad una nevicata, quando se ne stavano rintanati nei loro nascondigli.
Questo loro comportamento Francesco lo conosceva bene fin da ragazzo e di conseguenza aspettò un paio di giorni per effettuare la sua ispezione.
Poco dopo l’alzata del sole indossò i suoi vecchi scarponi militari a mezza gamba con le calze di lana fatte a mano da sua madre ed una vecchia “cagna” di pannetto pesante, che utilizzava anche per i lavori in campagna nella stagione fredda, e si incamminò costeggiando l’orto.

Faceva molto freddo, nonostante il sole fosse salito già fin sopra la linea degli alberi, il gelo gli penetrava fin su per le narici, intorno non c’era alcun segno di vita; in alcuni punti la siepe aveva l’aspetto di una scultura di marmo: i rami dei cespugli incurvati erano simili alle volte di una chiesa, mentre le piante ad alto fusto, con i loro lunghi rami carichi di neve, avevano le sembianze di angeli con le ali aperte. Il manto bianco semicongelato scrocchiava sotto i suoi lenti passi ed ogni volta che appoggiava gli scarponi aveva la sensazione di muoversi sopra una sottile lastra di vetro, provando la stessa emozione di quando bambino, mentre andava a scuola, saltava dentro le pozzanghere ghiacciate della strada.

Continua a leggere l’articolo di Giuliano Lusetti su La Libertà del 5 dicembre

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