Che tu sia un giovane adolescente o un lanciatissimo 50enne, sui social ci si va per dire qualcosa, per spiare gli altri, per mettere foto di gatti e alternare contenuti seri a contenuti leggeri.
Su ogni social si APRE un profilo personale da cui dirigere tutto e, dopo qualche tempo di utilizzo, si può proprio dire che con le foto postate contribuiscono a COSTRUIRE quel profilo.
Così, essendo nello stesso calderone, può capitare di arrivare su un profilo vip ma anche di qualche adolescente che si conosce, o tramite la scuola o altro, trovando però una persona che non riconosciamo.
Mi è capitato qualche settimana fa con una ragazza che conosco di persona, “nella vita reale” come si dice. Nel suo profilo, il suo sguardo timido era sparito, le sue maglie larghe letteralmente scomparse, mi sarei aspettata qualche foto dei paesaggi ma ho trovato un tripudio di cosce e di pose ammiccanti. Eppure quando le parlo direttamente fa fatica a sostenere lo sguardo e se le dico qualcosa di scherzoso solitamente sorride in un modo che esprime un po’ di disagio e diversa tenerezza.
Ho ricontrollato il nome, pensando ad una omonima, ma la faccia, quella sì, era la sua.
Che fine aveva fatto quello sguardo? Quella timidezza?
Cosa stava cercando di fare con quelle foto? Che profilo stava cercando di costruire? E perchè le sue amiche le mettevano like? Non vedevano la discrepanza tra la vita online e la vita offline?
Queste domande mi sono ronzate in testa per diversi giorni e quando ho rincontrato la ragazza è stato difficile non pensare a lei nelle pose viste nelle sue foto.
Purtroppo però, non è una eccezione ma quasi una regola. Non è la prima ragazza che conosco che trovo diversa online rispetto alla vita reale.
Che profilo si sta costruendo? Vuole essere davvero così come mostra? E poi perché avere un profilo pubblico? E se ti vedesse il tuo prof? Se ti vedesse tuo padre, tua madre, ti riconoscerebbero?
Mi lascia sempre perplessa vedere la naturalezza con cui molti ragazzi gestiscono questa doppia identità.
Riflettendoci bene però, questa caratteristica è evidente negli adolescenti ma non è una dinamica che riguarda solo loro.
Quante volte su Facebook, mi sono scontrata con adulti/adultissimi che mi hanno apostrofata nei modi più disparati solo perchè avevo espresso un parere diverso dal loro. Facendo un breve controllo sul loro profilo, trovavo spesso foto con i nipoti, con la famiglia, foto di gattini, immagini del famoso “buongiornissimo” e, a volte in mezzo a questo calderone, qualche post con qualche frase di Mussolini, come se fosse un cantautore deceduto troppo presto.
Cari signori che su Facebook vi scagliate in modo sgrammaticato, ridicolo ed offensivo contro chi ha opinioni che non condividete, se i vostri nipoti vedessero le cose che scrivete, vi riconoscerebbero? Se vostra moglie vedesse come trattate gli sconosciuti, troverebbe ancora la forza di prepararvi da mangiare?
La possibilità di mostrarsi in un certo modo, di farsi vedere per come si vorrebbe essere (visti), di esternare finalmente i pensieri che nella vita offline censuriamo, è un’opportunità che sui social viene offerta a tutti, giovani e vecchi.
Davanti ad un bivio che si apre ogni volta che clicchiamo sull’iconcina di Facebook e di Instagram, davanti alla tastiera, davanti alla fotocamera, cosa ci può portare a scegliere di ridurre la discrepanza tra la nostra identità social e la nostra identità offline?
Non ho idee per gli adulti, che -in teoria- hanno già una identità formata, scampata per anni alla minaccia dei social, ma per i ragazzi che crescono in questo dualismo bisogna prendere misure prima di produrre altre persone schizofreniche.
Come parziale risposta, mi è tornato alla mente un quadro di Magritte “La chiaroveggenza”.
Non sono una persona sensibile all’arte figurativa, ma sono rimasta colpita quando per la prima volta ho visto quest’opera ad un corso educatori, accompagnata dal verso di una poesia di Danilo Dolci: “ciascuno cresce solo se sognato”.
Essere sognati da qualcuno, oltre a se stessi, può aiutare i ragazzi a trovare la bellezza che già hanno ma che forse fanno fatica a vedere; non essere gli unici a desiderare qualcosa rispetto alla propria vita può aiutarli a smarcarsi da una visione un po’ troppo egocentrica e facilmente lontana dalla realtà.
Nell’essere in due a sognare se stessi, si è in due a conoscere se stessi.
Lo sguardo dell’altro, se è uno sguardo autentico ed amorevole come quello del pittore nel quadro, aiuterà allora a non ricercare la compiacenza di altri sguardi più opportunistici e a guardare dentro il proprio guscio, scoprendo una bellezza che già c’è e trovando il coraggio per farle spiccare il volo.
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