LA CHIESA DI FRONTE A ISRAELE: un faccia a faccia tra sfida e mistero

Quest’anno la Scuola Teologica Diocesana, dopo aver affrontato nei suoi interventi mensili su La Libertà la rivelazione di Dio e l’essere umano in Cristo, svilupperà il tema della Chiesa in alcuni suoi aspetti. Il primo intervento, che riguarda il rapporto tra la Chiesa e Israele, è proposto da padre Maurizio Guidi, cappuccino biblista presso la Pontificia Università Gregoriana e lo Studio Teologico Interdiocesano di Reggio Emilia.

Il ritorno a Dio  come atteggiamento costante

Ogni anno, ormai da più di un secolo, le varie confessioni cristiane celebrano la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. L’iniziativa, nata in ambito protestante (1908), è il frutto di un progressivo cammino di conversione operato dallo Spirito all’interno delle Chiese le quali, confrontandosi con il Vangelo, si scoprono bisognose di crescita e di un “ritorno” al cuore di Dio. Il capitolo 17 del Vangelo di Giovanni (“perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te…”) ha avuto un grande ruolo in questa presa di coscienza che, a partire dal 1968, portò tutte le confessioni a proporre testi e preghiere, affinché la supplica sacerdotale di Gesù potesse realizzarsi.
Dopo secoli di scontri, di reciproci epiteti e scomuniche, le comunità cristiane si sono rese conto del loro tradimento nei confronti della Parola e dell’unico corpo di Cristo. Il raggiungimento di questa consapevolezza fu come il canto del gallo che permise ad ogni comunità di liberare le lacrime del pentimento. La visita di papa Francesco in Svezia (Lund, 31.10.2016) in occasione dei 500 anni della Riforma Luterana va letta in questa direzione, quella di una teshuvah, un cammino di costante ritorno a Dio in cui si è capaci di accantonare orgoglio e rancori per riaffermare una comune obbedienza alla fede.

In analogia con questo cammino penitenziale va letto anche il processo di autocoscienza che le comunità cristiane stanno compiendo alla luce del rapporto con Israele.
L’indifferente separazione che per secoli ha dettato i rapporti tra ebrei e cristiani è in stridente contrasto con la rivelazione neotestamentaria. Sono infatti le stesse parole di Paolo a ribadire la permanenza di Israele nell’orizzonte ecclesiale: “quanto alla scelta di Dio, essi [Israele] sono amati, a causa dei padri, infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!” (Rm 11,28-29).

Non è dunque un caso che, a partire dal 1990, le Chiese abbiano percepito la necessità di anteporre alla Settimana di Preghiera per l’Unità (18-25 gennaio), la giornata per il dialogo ebraico-cristiano (17 gennaio). Tale collocazione ha un evidente significato pragmatico, affermando la priorità dell’incontro con Israele su ogni cammino di unità intra-ecclesiale. Il rapporto tra Israele e la Chiesa è fondamentale, affinché le comunità dei credenti in Gesù Messia possano avere una profonda e veritiera coscienza di se stesse e, su questa base, camminare insieme verso l’unità voluta dal Cristo.

Continua a leggere tutto l’articolo di Maurizio Guidi su La Libertà del 14 novembre



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