Don Giovanni Ruozi e i suoi anni come «fidei donum»
Lo scorso 25 ottobre don Giovanni Ruozi è rientrato in Italia dalla missione del Madagascar per il nuovo incarico affidatogli in diocesi, come parroco di Castelnovo Monti, dove farà l’ingresso il prossimo 17 novembre. Intanto giovedì 8 novembre, alle ore 21, in San Girolamo a Reggio, sarà don Ruozi a celebrare la Messa “missionaria”. Ordinato sacerdote nel 2005, don Giovanni è stato inviato come fidei donum nell’Isola Rossa nel 2007 per svolgere servizio nella diocesi di Ambositra. Dal 2012 fino ad oggi è stato poi impegnato nella cura pastorale delle parrocchie di Manakara, diocesi di Farafangana, diventandone anche economo (2016). è stato parroco delle comunità di Ambalampahasoavana (parrocchia Gesù Misericordioso), del distretto Manakara sud, ora seguita da don Luca Fornaciari e don Simone Franceschini che lo sostituiscono.
Pubblichiamo l’intervista a don Giovanni realizzata prima del suo rientro da Giorgia Roda, missionaria laica ad Ampasimanjeva e corrispondente in Madagascar del nostro Centro Missionario.
“Undici anni di missione – dice Giorgia – non si possono riassumere in poche righe, quindi le domande dell’intervista che ho avuto il piacere di fare a don Giovanni non hanno questa pretesa, quanto piuttosto il desiderio di conoscere un po’ meglio una persona che ha donato tempo al servizio in questa terra e con cui ho potuto condividere alcuni momenti della mia esperienza qui in Madagascar”.
Don Giovanni, che cosa significa essere fidei donum?
Il termine si riferisce alle prime due parole dell’Enciclica che Papa Pio XII scrisse nel 1957, con cui autorizzò ed invitò anche i preti diocesani e i laici, e non più solo coloro che appartenevano ad un ordine missionario, ad andare in missione in quanto mandati da una Diocesi per richiesta di una Chiesa sorella di un altro Paese, con la prospettiva però di tornare alla propria Chiesa di origine una volta terminato il periodo di servizio.
Avendo tu esperienza sia di missione che di vocazione, sei del parere che la missione possa essere considerata una vocazione?
Sì, certo. Si può intendere la missione come vocazione perché si è mandati da una Diocesi al servizio di qualcun altro, sia per periodi brevi, perché il Signore ci chiama per dirci qualcosa sulla nostra vita, per farci scoprire qualcosa di noi; ma anche per periodi lunghi, per scoprire la propria essenziale appartenenza. Il termine vocazione ci interroga, infatti, su “chi sono?” e “a chi appartengo?”.
Quali sono stati i tuoi incarichi in questi anni?
Appena arrivato ho studiato malgascio a Fianarantsoa, poi sono stato per un paio di mesi ad Ampasimanjeva perché sembrava che dovessi svolgere il mio servizio lì, ma i piani sono cambiati e mi sono stabilito ad Ambositra dove sono stato cappellano del carcere, aiutante del distretto Zafimaniry e in ospedale, oltre che responsabile dei volontari italiani. Nel 2012, quando si è deciso di aprire una parrocchia nuova a Manakara sud, mi sono trasferito lì insieme ad un prete malgascio. Dal 2016 sono stato incaricato di gestire l’economia della Diocesi di Farafangana, oltre al mio impegno come parroco.
Continua a leggere l’articolo di Giorgia Roda su La Libertà del 7 novembre