Intervista a Samuele Adani, pedagogista e responsabile dell’Area formazione CSI
In settembre e in ottobre sono ricominciati gli sport professionistici. Per gli amanti del genere, weekend sul divano dalle mille emozioni. Si parte con la finale degli Us Open, New York, dove la donna più forte dello sport americano contemporaneo, Serena Williams, scende in campo per “asfaltare” la timida e quasi sconosciuta Osaka, ragazzina di belle speranze. Lo sport sorprende, si sa, e la ragazzina prende a pallate la campionessa fino a quando Serena sbotta e comincia a litigare con l’arbitro in un teatrino tragicomico fino ad arrivare a sostenere una discriminazione sessuale assurda quanto inventata. Campionessa di titoli ma non di fatto.
Dalla racchetta ai motori, anzi, al freno, quello del pilota Manzi, schiacciato a 200 km/h dal rivale Fenati per punirlo di scorrettezze ricevute in pista dimenticandosi che però, così, si muore.
Dall’asfalto di Misano all’erba dello Juventus Stadium dove il funambolico Douglas Costa invece di dribblare e scattare preferisce l’arte della testata con sputo in pieno volto verso l’avversario del Sassuolo per vendicarsi di non si capisce bene cosa.
Episodi brutti, tristi dove lo sport non educa, ma preoccupa.
Premettendo che assolutamente non è mia intenzione mettere queste diverse situazioni sullo stesso piano e fermo restando che si punisce il gesto, non la persona/sportivo, ho provato a capire dove stiamo andando sul versante Sport – Educazione chiedendo per il gruppo “Lergh ai Szoven” di Montecavolo e per La Libertà il parere di Samuele Adani, amico, pedagogista e responsabile dell’Area formazione del Csi di Reggio Emilia.
Negli ultimi mesi lo sport di alto livello è stato teatro di spettacoli osceni e sicuramente di cattivo esempio, dalla sfuriata di Serena Williams in finale agli Us Open, al gesto sconsiderato del pilota di motociclismo Fenati fino allo sputo del calciatore Douglas Costa.
Pensi che lo sport sia ancora un canale di valori positivi? Soldi, stress e la caccia sfrenata al successo lo hanno cambiato in peggio in modo irreversibile?
Pur non essendo (ahimè) più un praticante dello sport, ne sono un grande appassionato e le seguo il più possibile tra le diverse categorie e discipline e devo dire che oggi lo sport è ancora uno straordinario veicolo di valori positivi. Ne sono profondamente convinto: la pratica sportiva “allena” (il verbo calza a pennello) le persone alla perseveranza, al rapporto sano con la fatica, al dialogo con se stessi e con gli altri, al rispetto delle persone e delle regole… Le dinamiche “tossiche” a cui fai riferimento nella domanda (soldi, stress, caccia al successo) credo non abbiano cambiato lo sport, ma l’immagine che noi ne abbiamo.
Soprattutto hanno cambiato l’immagine che ne hanno i bambini e i giovani: spesso infatti essi vogliono eccellere nello sport e imitare i loro beniamini solo per poter essere ricchi e famosi allo stesso modo…e questo con lo sport centra bene poco.
Credo che una buona fetta di responsabilità sia da imputare a chi mette troppo in risalto le dinamiche e i fatti negativi (che sono sempre pochi a confronto delle tante buone notizie sportive) per un fatto di sensazionalismo e di scoop che però in fondo tradisce ciò che di buono c’è nello sport.
Ti occupi di formazione per educatori ed allenatori per il Csi della città: nella tua esperienza, lo sport locale riesce ancora a trasmettere valori sani? Quanto l’ importanza del risultato nelle nostre scuole calcio crea ansia nei ragazzi e competizione negli allenatori?
A livello locale, per fortuna, le cose vanno decisamente meglio: decine e decine di allenatori, arbitri, dirigenti e genitori che spendono il loro tempo, soldi e competenze per accompagnare i bambini e giovani nel loro percorso sportivo sono il fiore all’occhiello delle nostre società sportive e della realtà reggiana. Sono dei veri e propri “eroi dello sport” che, senza chiedere nulla in cambio, ogni settimana scendono in campo per trasmettere la passione e buoni valori dello sport ai più piccoli.
Certo, i rischi sono dietro l’angolo: le immagini delle categorie maggiori, dove militano i campionissimi, arrivano fino nei nostri campi e il desiderio di emulazione è molto alto, nel bene e nel male. Il desiderio, sacrosanto, di vittoria a volte si trasforma in ossessione e gli avversari, da compagni di viaggio, diventano ostacoli da spazzare via. Credo che lì risieda la vera sfida educativa che siamo chiamati a compiere; non è facile, ma è possibile ed entusiasmante!
A tuo parere, è giusto trasmettere in diretta senza censura le immagini di comportamenti inadeguati tra i professionisti o, come sostiene qualcuno, il rischio di emulazione negativa è troppo alto? Nel concreto, visto che le televisioni non inquadrano il classico invasore di campo, non potrebbero fare lo stesso per uno sputo ripreso dal replay?
Credo che in questa specifica situazione la risposta sia, purtroppo, molto semplice: la narrazione sportiva, televisiva o radiofonica, deve saper raccontare in modo intelligente e appassionante l’evento sportivo; su tutto ciò che non è sportivo o addirittura anti-sportivo credo sia meglio glissare o, quando sia necessario, informare senza indugiare per mille volte.
Facciamo un esempio: all’inizio dell’intervista hai citato tre momenti che con lo sport hanno poco a che fare (lo sfogo inopportuno di Serena Williams, la follia di Fenati in moto e lo sputo di Douglas Costa), ecco, quante volte ci sono stati propinati questi momenti? Foto, video, slow-motion… li sappiamo a memoria, li abbiamo analizzati attimo per attimo e in secondo piano è passato l’evento sportivo: la storica vittoria di Naomi Osaka, i primi gol di Cristiano Ronaldo in Italia, la vittoria di Dovizioso nel weekend di Misano. Credo che questo sia veramente inopportuno… lo sport deve essere al centro della tele/radiocronaca e degli articoli di giornale altrimenti lo perderemo sempre più di vista.
Continua a leggere l’articolo di Marco Belli su La Libertà del 31 ottobre