L’uso della marijuana in gravidanza e nell’allattamento

In quest’ultimo periodo è cresciuto il numero di Stati e Paesi che hanno legalizzato l’uso dei cannabinoidi. Ci sono ormai sufficienti dati per rilevare le conseguenze sullo stato di salute degli individui e sui danni al vivere collettivo; c’è da esserne preoccupati. Nonostante ciò un vento favorevole alla legalizzazione non tende a scemare. Ne consegue che è bene accrescere la consapevolezza dei potenziali consumatori affinché l’uso sia il più responsabile possibile. Per questo, tra i tanti temi, è molto opportuno aumentare l’attenzione pubblica sugli effetti nel caso di esposizione in gravidanza e poi nella prima infanzia. Insomma cosa succede a neonati e bambini se i genitori, le loro madri, fumano marijuana? Dopo che molti Paesi l’hanno legalizzata, la percezione della sua sicurezza è ancor più aumentata.

Così l’uso della marijuana tra le donne incinte si è espanso. Le cifre più recenti dimostrano quasi una duplicazione della percentuale dei consumi dal 2002 ad oggi. Nel contempo anche la potenza della cannabis in circolazione è sostanzialmente aumentata; probabilmente questo fenomeno continuerà con la progressiva immissione di procedure di estrazione dei componenti attivi migliorate.
Anche se la cannabis è riconosciuta per l’uso medico per alcune condizioni cliniche, è risaputa pure la serie di effetti negativi a breve, medio e lungo termine, oltre alle sue possibili reazioni acute.
L’espansione dell’uso della cannabis tra le donne incinte e tra le donne che allattano può portare ad un aumento del rischio da parte del feto e del bambino per l’esposizione al potenziale teratogeno della cannabis. Eppure è sottovalutato. Il THC, il tetraidrocannabinolo, la maggiore componente psicoattiva della marijuana (ne contiene oltre 500) attraversa prontamente la barriera placentare.
La quantità di dati raccolti sia su animali che negli esseri umani indica che l’esposizione prenatale può essere correlata al danno per lo sviluppo del feto e del bambino.

Leggi tutto l’articolo di Umberto Nizzoli su La Libertà del 25 luglio

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