Non è uno scarto, è mio fratello

“Scarti fastidiosi” diventano tutti coloro che non ci sono utili per soddisfare la nostra voracità di cose. Il discorso di papa Francesco al Centro Ecumenico del World Council of Churches per la Preghiera Ecumenica a Ginevra del 21 giugno scorso ha fatto ancora una volta riferimento alla situazione di quanti per problemi di vario tipo sono messi ai margini della società o addirittura eliminati in quanto improduttivi.
L’economizzazione dell’esistenza umana ha in effetti raggiunto un punto critico: lentamente, dalle rivoluzioni industriali ottocentesche in poi, l’elemento produttivo si è sovrapposto ai valori che esulavano dalla pura materialità fino a sostituire le cose, comprese le immagini, agli esseri.

Il “lavorare in perdita” cui ha fatto riferimento il Pontefice parlando del cammino ecumenico è esattamente l’opposto del mettere da parte i bisognosi, gli ultimi, gli indifesi. Non si tratta solo di ignorare chi tende la mano, ma più in profondità di evitare che la selezione darwiniana entri in noi per porte secondarie e non immediatamente consapevoli: compiere scelte affettive sulla base di criteri di convenienza economica, ad esempio, o lentamente lasciare andare alla deriva chi attraversa un momento di crisi sul lavoro, o ha avuto un incidente di percorso che gli ha cambiato la vita.

L’arte e la letteratura da sempre presentano elementi di riflessione: grandi artisti come Fattori, Van Gogh, solo per fare esempi conosciuti a tutti, hanno costruito capolavori assoluti sulla contemplazione di qualcosa che non è immediatamente utile e produttiva: un fiore, un panorama, il mare all’orizzonte.
In letteratura, la marginalità e la apparente non utilità hanno lasciato pagine memorabili, come nel caso del piccolo storpio del Racconto di Natale di Dickens, che da solo converte – con l’ausilio dello spirito del Natale, che non è altro che la coscienza – l’avido senza cuore.

Leggi tutto l’articolo di Marco Testi su La Libertà dell’11 luglio

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