Una Chiesa dinamica attrae giovani

Verso il prossimo Sinodo: intervista a monsignor Hollerich

Una “rivoluzione”. Non nei contenuti ma nei linguaggi, non nelle formalità ma nel modo di essere. È quanto la Chiesa deve mettere in atto perché i giovani in Europa possano provare la gioia di abitarla, conoscere e trovare Dio. Non ha timore di usare il termine “rivoluzione” monsignor Jean Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e responsabile della Commissione “giovani” del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee). Lo abbiamo intervistato a margine dell’incontro dei portavoce e degli addetti stampa delle Conferenze episcopali che si è svolto a Roma dal 26 al 28 giugno (si veda l’articolo sotto) e che ha dedicato uno spazio di approfondimento e dialogo al Sinodo dei giovani. Monsignor Hollerich, che oggi presiede la Commissione dei vescovi Ue (Comece), è forse la persona più giusta per parlare di giovani: ha passato lunghi anni in Giappone dove ha insegnato ed è stato cappellano all’Università Sophia di Tokyo.

Monsignor Hollerich, chi sono i giovani?
Sono giovani molto secolarizzati. Giovani che non conoscono più la Chiesa. Se nel passato c’era una generazione contro, oggi i giovani non sanno più cosa è la Chiesa. Credo che sia una sfida per noi, perché possiamo sviluppare una pastorale per i giovani senza le resistenza di una volta. Sono giovani che vogliono essere felici e hanno paura di non trovare la felicità, il senso della vita. Hanno paura di impegnarsi in una relazione di coppia, perché vedono che per i loro genitori non ha funzionato. Hanno paura addirittura dell’amore, dell’impegno che dura. Sono giovani aperti ad una ricerca di Dio ma penso anche che per rispondere a questa ricerca, noi dobbiamo cambiare il nostro linguaggio. Siamo troppo teologici e i giovani non capiscono quello che diciamo. Dobbiamo utilizzare i linguaggi delle immagini, dei film che i giovani guardano. Dobbiamo entrare nel loro mondo e non aspettare che siano loro ad entrare nel nostro, e portare con noi Dio nella consapevolezza che non siamo noi a convertire ma è solo Dio che può farlo. Dobbiamo allora cercare di creare nel loro mondo uno spazio per Dio.

Leggi il testo integrale dell’articolo di Maria Chiara Biagioni su La Libertà dell’11 luglio



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