Se la Grande Guerra dà spettacolo

Rivalta, un percorso tra canti e film nato in parrocchia

N on attraverso la prima rappresentazione, andata in scena il 23 maggio al Cinema teatro “Corso” di Rivalta, ma grazie alle immagini girate da Stefano Bonelli ho potuto assistere al percorso di memorie, canti e proiezioni “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, dedicato alla prima guerra mondiale. Un titolo-testo – l’intera poesia “Soldati” di Giuseppe Ungaretti – per incorniciare una serata proposta dalla Libera Università Popolare “Aperta…Mente” e presa per mano per la parte storica dalla professoressa Silvana Aleotti e per quella musicale dal maestro Francesco Trapani, che nell’occasione dirige l’Ensemble corale “Il Bosco-Isicoro”. Ma c’è una partecipazione straordinaria, in questo evento nato in casa e destinato, speriamo, a future repliche: è quella del parroco dell’unità pastorale “Padre Misericordioso” don Davide Poletti, che introduce l’incontro con un piccolo show a sorpresa.

Il sacerdote si presenta davanti al sipario ancora chiuso con in testa un elmetto originale della Cavalleria italiana risalente al conflitto 15-18. Poi intrattiene il pubblico con un monologo tra cabaret e serissimo ricordo, e così fa scoprire che certe espressioni volgari usate in caso di seccature, come “rompere le scatole” e “girare le palle”, risalgono a quel periodo buio della nostra storia: la prima era urlata dai comandanti ai soldati quando i nemici ne assalivano la trincea, e allora non c’era tempo per scartare con cura le confezioni delle munizioni, che andavano per l’appunto rotte in fretta; la seconda viene dall’abitudine dei militi italiani e austro-ungarici di aprire i bossoli dei proiettili e girarne la palla, cioè la pallottola, in modo da ottenere una deflagrazione ancora più devastante del colpo sparato contro i fanti avversi.

I canti degli alpini – dice poi il parroco – hanno una caratteristica speciale: nonostante tutta la propaganda di rabbia e di odio che veniva fatta ai soldati, non sono capaci di trasmettere sentimenti negativi: anche gli aspetti più crudeli della guerra sono come ovattati da parole semplici, dalla poesia e dal canto stesso. Molto probabilmente – aggiunge – ciò accade perché il cuore dell’uomo è capace di fare filtro rispetto agli ordini più aberranti, e quei fugaci “incontri” che avvenivano fra fronti opposti durante gli interminabili mesi di trincea, o i piccoli baratti tra sigarette e grappa, facevano scaturire nei soldati la convinzione che il nemico fosse come loro.

Silvana Aleotti rievoca la scintilla che nel giugno del 1914, a Sarajevo, innescò una guerra che doveva essere “lampo” (da qui il nome che si iniziò a dare alle cerniere, il sistema utilizzato per chiudere le tasche delle uniformi) e invece durerà 53 mesi, che ha detronizzato 20 monarchi e mietuto milioni di morti, trasformando la prospera Europa in una terra desolata, con l’impiego di strumenti all’avanguardia per il secolo scorso, come la mitragliatrice automatica, i carri armati, le maschere antigas o i sommergibili; un combattimento che, nato in movimento, si sposterà presto in umide trincee (e questa parola in inglese, trench, diventa il nome dell’impermeabile). Vengono ricordate la discesa in guerra dell’Italia, il 24 maggio 1915, e la morte dell’ultimo reduce italiano, che se n’è andato a 110 anni il 26 ottobre 2008.

Leggi il testo integrale dell’articolo di Edoardo Tincani su La Libertà del 4 luglio

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