Come preannunciato, in questo inserto proponiamo il testo integrale, rivisto dalle autrici, delle relazioni che Maria Teresa Moscato e Mariantonia Avati hanno tenuto il 29 maggio scorso al convegno “La donna e il suo genio”, svoltosi presso la sala conferenze del Museo diocesano di Reggio alla presenza del Vescovo. L’incontro prendeva le mosse dal Discorso alla Città pronunciato da monsignor Massimo Camisasca nella Messa per la solennità del patrono san Prospero il 24 novembre 2017.
Questa riflessione nasce dietro una duplice sollecitazione di S. E. il Vescovo Camisasca1 (note alle pagine 12 e 13, ndr), che ha ribadito, fra l’altro, citando Giovanni Paolo II, la necessità di rintracciare con chiarezza “il radicale fondamento antropologico del valore della donna”, a partire da “una rinnovata e universale presa di coscienza della sua dignità”. Nell’ottica di uno sviluppo ulteriore dell’antropologia e della teologia del femminile, proseguendo un cammino di ricerca già segnato dal magistero degli ultimi tre Pontefici, vorrei fornire in questo testo un mio piccolo contributo. Mi concentrerò su quella che è – a mio parere – la dimensione che più identifica la persona umana, e cioè l’esperienza religiosa, analizzando alcune narrazioni bibliche. è possibile chiedersi se, nella specifica differenza fra maschile e femminile (non fra gli uomini e le donne)2, risulti diversa la sensibilità religiosa, o in qualche modo la capacità di entrare in rapporto con il trascendente.
Vorrei naturalmente scartare a priori l’idea di una superiorità/ inferiorità, del maschile o del femminile, pur sapendo che in genere il nostro modo di leggere la differenza rischia sempre di cadere in valutazioni comparative. Ed è ovvio che una cultura androcentrica leggerà sempre la superiorità del maschile, anche quando il testo dimostra oggettivamente il contrario.
Due esempi emblematici della diversità femminile fraintesa si rintracciano in due episodi molto noti dell’AT: il famoso giudizio di Salomone, narrato nel primo libro dei Re, e la preghiera di Anna, madre di Samuele, contenuta nel primo libro di Samuele.
Nel primo caso, la narrazione è nota e citata come espressione della saggezza del re, che avrebbe comandato di dividere in due con un colpo di spada il bambino conteso fra due prostitute3 . La “saggezza” del grande Salomone consisterebbe quindi nell’aver individuato correttamente una madre biologica in un momento in cui non esistevano altri strumenti di certezza giuridica. Ma questo testo evidenzia piuttosto l’emergere del grande archetipo materno nella figura della donna che si ribella al giudizio regale, senza alcuna preoccupazione per la propria “faccia” e per la propria vita:
“Per pietà mio signore, dà pure il bambino a lei, ma lascialo vivere!” (I Re, 3, 16-28).
Qui il contrasto simbolico Maschile/ Femminile contrappone il legalismo formale del Maschile Re/Giudice, di fatto apparentemente indifferente al valore della vita, e per contro il grido viscerale della donna senza potere, che si leva in difesa dalla vita del piccolo, fatta per questo indifferente alla propria vita. Il re avrebbe potuto infatti giudicare che essa aveva prima mentito, dal momento che ora rinunzia al bambino. E ancora osserviamo che la sentenza finale di Salomone ha affidato il bambino superstite forse alla madre biologica, ma sicuramente a colei che mostrava capacità materna e autenticità religiosa, scegliendo la vita del bambino a qualsiasi prezzo.
Continua a leggere il testo integrale dell’intervento di Maria Teresa Moscato su La Libertà del 4 luglio