Aquarius? Valencia città aperta

Ecco il modello Caritas di integrazione sociale per i migranti

I larghi viali alberati, il fiume, il porto, la città vecchia di Valencia scorrono sotto gli occhi del visitatore mentre dalle news spagnole arriva l’eco delle ultime notizie dall’Italia. Un commentatore parla di rischio di leggi razziali e ritorno alla barbarie del passato. Intanto i murales dell’antico barrio del Carmen raccontano di morti in mare, di bambini salvati dalle onde. Valencia, città aperta, ha visto sbarcare i 630 migranti della nave Aquarius della Ong Sos Mediterranée grazie alla disponibilità del governo spagnolo, dopo che il Viminale aveva negato l’approdo 8 giorni prima.
Ora i migranti sono nei centri della Croce Rossa, sottoposti a visite mediche e procedure di identificazione. I minori sono stati trasferiti ad Alicante. L’arcidiocesi di Valencia ha messo a disposizione tutte le sue risorse – centri, servizi, famiglie, volontari – per accogliere “senza limiti” nella fase successiva alla prima accoglienza gestita dalle istituzioni. C’è riservatezza alla Caritas di Valencia sui luoghi dove verranno ospitate le persone, per tutelarne la privacy e per motivi di sicurezza.

L’esperienza di solidarietà è tanta e di antica tradizione: con i suoi 6.000 volontari è la più grande Caritas diocesana in Spagna. Qui è stato fondato il primo orfanotrofio del mondo e nel 400 il primo centro per persone con disagio mentale. La patrona della città, non a caso, è la Virgen de los desemparados, ossia delle persone senza fissa dimora. E chi più manca di un alloggio se non le persone costrette a migrare? Solamente lo scorso anno sono stati assistiti 25.000 migranti, anche se in transito o per brevi periodi, attraverso 439 Caritas parrocchiali, 69 collegi scolastici diocesani, case famiglia e tanti servizi e progetti innovativi.
Il 48% degli “utenti” Caritas sono stranieri. In occasione dell’arrivo dei migranti dell’Aquarius si è deciso di ampliare anche il personale e le abitazioni da mettere a disposizione. Ma la vera forza qui è il modello di integrazione sociale, tutto orientato a rendere le persone autonome.

Continua a leggere tutto l’articolo di Patrizia Caiffa su La Libertà del 27 giugno

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