Vi erano pochi dubbi sul fatto che la mostra sarebbe stata prorogata, e così è stato: fino al 16 settembre, anziché 17 giugno. Dunque Stanislao Farri e l’archivio dell’utopia sarà esposta in biblioteca Panizzi per tutta l’estate grazie alle tante richieste e alle manifestazioni di interesse. L’esposizione che conta oltre cento scatti, realizzati dal fotografo reggiano ultranovantenne tra la fine degli anni cinquanta e gli inizi degli anni ottanta, documenta le diverse sfaccettature del patrimonio culturale, folklorico e industriale locale, includendo anche il paesaggio proposto come “museo diffuso”. La ricerca fotografica di Farri si caratterizza per lo studio costante nel tempo, fondamentale per comprendere sia le sue modalità di lavoro sia le diverse identità culturali che hanno trasformato la città e il territorio nel corso degli anni.
Curata da Laura Gasparini e Monica Leoni, l’esposizione svela una parte del patrimonio dell’archivio fotografico di Farri, conservato nella Fototeca della Biblioteca, acquisito a partire dal 1995 e costituito da oltre 170.000 pezzi tra negativi e positivi.
La mostra, inserita nell’ambito di Fotografia Europea, è a ingresso gratuito e visitabile a ingresso libero negli orari di apertura della biblioteca.
Stanislao Farri nasce a Bibbiano (provincia di Reggio E.) nel 1924, da un’umile famiglia di origine contadina. Nel 1949 lascia la bottega di calzolaio del padre per lavorare, in città, come apprendista tipografo. Nel contesto lavorativo viene a contatto con la tecnica fotografica e sperimenta i materiali fotosensibili. Nel 1943 partecipa per la prima volta ad una mostra fotografica collettiva. Nel 1955 lascia il lavoro da tipografo e abbraccia quello del fotografo professionista mettendo a frutto l’esperienza maturata nel campo amatoriale che mantiene sempre vivo per tutta la sua carriera.
Farri ha partecipato ad oltre 500 mostre italiane e straniere ottenendo riconoscimenti internazionali nel settore dilettantistico, mentre in quello della fotografia professionale, si è distinto nel campo della documentazione dei beni culturali e nel campo industriale, lasciando una preziosa attestazione della storia del lavoro nella città di Reggio Emilia. Il fotografo ha intrapreso anche un’intensa attività di indagine relativa alla cultura materiale come, ad esempio, le ricerche sui i caseifici e sugli usi e costumi delle classi più umili, arrivando a costituire, nella moltitudine dei soggetti, un archivio di straordinaria importanza.