Valorizziamo i Chiostri di San Pietro

La lettera aperta alla Città dell’architetto Franca Manenti Valli

Pubblichiamo la lettera aperta indirizzata al Sindaco, dunque alla Città di Reggio Emilia, dall’architetto Franca Manenti Valli, autrice di un interessante progetto di recupero e riuso dei Chiostri di San Pietro.

Egregio Sindaco,
ritorno sul tema dell’ex monastero benedettino di San Pietro, il più importante complesso rinascimentale reggiano, poiché è stato dato avvio a un intervento a mio avviso non condivisibile di cui la Città, tenuta all’oscuro delle scelte iniziali, non ha ancora valutato la portata. Mi sembra doveroso partecipare, questa volta, le mi riflessioni alla stampa poiché conosco a fondo il tema e, come Le dicevo nella lettera che Le avevo inviato nel settembre scorso, la Città ne sia informata. Alla lettera era seguito in gennaio un tavolo di confronto, da Lei stesso proposto e di cui Le sono estremamente grata, con personalità dell’arte, della cultura, della politica. Lei ha potuto verificare il deciso, unanime, totale dissenso per quanto si sta attuando. Purtroppo all’incontro non c’è stato il seguito da Lei promesso, com’era nell’auspicio di tutti, per poter dare un apporto significativo e propositivo.

■ L’intervento a San Pietro è presentato come fiore all’occhiello di una politica ‘sociale’, ignorando che il contesto storico in cui si attua è, per l’estrazione originaria e per la presenza dei chiostri, vocato a destinazione prettamente culturale e artistica. Questa la direzione naturale del suo recupero. L’improvvisa urgenza, dopo anni di usi estemporanei, di recuperare fondi per poter utilizzare e ‘mettere a rendita’ gli spazi del complesso, con il completamento dell’impiantistica, dei collegamenti verticali, dei locali di servizio nel corpo monumentale, ha portato a richiedere finanziamenti in una direzione del tutto impropria, poiché impone una particolare destinazione d’uso, qui assolutamente incongrua.

Nell’area dell’antico monastero si introduce dunque una funzione nuova, il Laboratorio di innovazione sociale (spazi attrezzati con soluzioni ICT per il lavoro condiviso e il confronto tra imprese, cittadini e Pubblica amministrazione): valida certamente in altro contesto, in particolare al Parco dell’Innovazione, ma qui totalmente avulsa dallo spirito del luogo, fatalmente portatrice di fruizioni promiscue e circoscritte all’ambito locale, tipologicamente inconciliabile con gli spazi esistenti.
La scelta comporta, infatti, la realizzazione di un nuovo fabbricato a due livelli, a cinque metri dal chiostro grande, con cui inevitabilmente si confronta: una presenza ingombrante, invasiva, incombente nello spazio cortilivo. Certo non si sentiva il bisogno di cementificare ulteriormente in centro storico, quando altrove fabbriche dismesse attendono di essere utilizzate e sanate. Soprattutto di costruire all’interno di un’area già monastica e, per rara sorte, ancora delimitata e identificata dopo cinque secoli. E di lasciare invece inagibile, sempre nell’area, parte dell’ex-caserma Taddei di pari superficie utile.
Con quali criteri e da chi è stata presa questa decisione? Quali figure competenti sono state consultate per un problema così delicato? La Città ne è venuta a conoscenza solo a risoluzioni prese e a finanziamenti richiesti.

■ Il complesso sampietrino, che avrebbe potuto essere restituito a una funzione unitaria e coordinata, di larghe prospettive, viene così frammentato in due destinazioni distinte e non certo coerenti: esposizioni ed eventi nei chiostri, laboratorio aperto nel nuovo edificio. A quest’ultimo è rivolta la maggior concentrazione di risorse! Ciò lascia sconcerto: oggi non si può soffocare l’orgoglio della cultura, proprio quando le più recenti direttive ministeriali individuano il recupero dell’opera d’arte come priorità d’intervento. E poiché l’area di pertinenza di un bene culturale è da considerarsi parte dell’opera stessa, è sconfortante vedere come il Consiglio comunale adotti (gennaio 2017) una variante al Regolamento Urbanistico ed Edilizio per non incorrere nel veto dell’organo tutorio e consentire l’approvazione di un progetto che la stravolge per sempre.

Continua a leggere il testo integrale della lettera di Franca Manenti Valli su La Libertà del 23 maggio

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