Islam, quale atteggiamento: indifferenza o mano fraterna?

Continua la pubblicazione degli articoli di approfondimento sull’Islam. Ricordiamo che presso la nostra redazione è disponibile la raccolta degli articoli di “Alfredo” editi nel 2017.

Durante la mia permanenza di sei anni in Polonia ebbi il privilegio di conoscere un docente dell’Università Cattolica di Lublino, collega ed amico personale dell’allora monsignor Wojtyla, che insegnava teologia nello stesso ateneo. Fin dalla sua prima Messa, celebrata in Cattedrale a Cracovia nella Cripta di San Leonardo, il 2 novembre 1946, all’atto della consacrazione, don Karol vide Gesù e Maria in volto.
Nel numero del 5 dicembre 2017 la rivista Gente pubblicò un articolo sconvolgente. Un prelato dell’Opus Dei, monsignor Mauro Longhi, amico intimo del Pontefice, che accompagnava in lunghe passeggiate, durante i suoi ritiri e le sue vacanze in Abruzzo, raccolse il racconto di un incubo terribile, durante una visione profetica di san Giovanni Paolo II, avvenuta nel 1993.
Forse quelle montagne gli ricordavano i suoi Carpazi in Polonia. Anche sulle montagne d’Abruzzo probabilmente si sentiva più vicino al cielo e si ritirava a pregare intensamente, teneva lunghe meditazioni, alle prese con visioni mistiche e profetiche.

Ecco il suo racconto: “Ricordalo a chi incontrerai nella Chiesa del terzo millennio. Vedo la Chiesa afflitta da una piaga mortale. Più profonda, più dolorosa rispetto a quelle di questo millennio. Si chiama islamismo. Invaderanno l’Europa. Ho visto le orde provenire da ogni parte, dal Marocco, dalla Libia, dall’Egitto e così via fino alle nazioni orientali. Invaderanno l’Europa. L’Europa sarà una cantina, vecchi cimeli, penombra, ragnatele. Ricordi di famiglia. Voi, Chiesa del terzo millennio, dovrete contenere l’invasione. Ma non con le armi, le armi non basteranno: con la vostra fede vissuta con integrità”.
In tanti lo hanno udito dialogare animatamente di notte con il Signore nella casa dell’Opus Dei, suo ritiro abruzzese. Monsignor Longhi rivelò l’episodio presso l’eremo dei “Santi Pietro e Paolo” a Bienno, in Val Camonica, durante una conferenza in ricordo del santo pontefice, il 22 ottobre 2017, giorno in cui la Chiesa celebrava la memoria liturgica del Santo Padre. Leggendo la sua ultima Enciclica Ecclesia de Eucharistia, al numero 59 della Conclusione, mentre ricordava la sua prima Messa, svelava il mistero che lo accompagnò per tutta la vita: “I miei occhi si sono raccolti sull’ostia e sul calice in cui il tempo e lo spazio si sono in qualche modo contratti e il dramma del Golgota si è ripresentato al vivo, svelando la sua misteriosa «contemporaneità»”.

Non dobbiamo equivocare: il Pontefice era aperto da sempre al dialogo con l’Islam, perciò questa sua visione non deve essere strumentalizzata contro i musulmani, dei quali dichiarava che avevano molti punti comuni con la fede cristiana e per i quali nutriva profondo rispetto per i valori fondanti della loro fede.
Alla luce di questa testimonianza, di un prelato degnissimo e al di sopra di ogni sospetto, tutti noi dobbiamo chiederci quale sia il modo migliore per scongiurare che quel terribile incubo del Pontefice diventi realtà e trasformarlo in un maggiore attaccamento alla nostra religione, vivendola e testimoniandola, come lui suggeriva, con più integrità e fede, nel rapporto con la comunità islamica, animata da una fede profonda nella sottomissione a Dio.

Continua a leggere l’articolo di Alfredo su La Libertà del 9 maggio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *